L’ultima sirena ed il momento dei bilanci di stagione.

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L’ultima sirena ci ha sorpresi stanchi e piuttosto accaldati. Ognuna, ogni sirena di fine partita ci svuota lo stomaco e ci consegna al pubblico, che sia poco oppure numeroso, a quel senso di liberazione, comunque tutto sia andato.

La vera analisi, la metabolizzazione arriva dopo, nelle ore e nei giorni dopo.
L’ultima sirena della stagione mi ha consegnato una vittoria, un corsa disperata verso gli spalti per un abbraccio ed un bacio e, solo da oggi, qualche spunto di riflessione.

Ero scettico sul lavorare con i giovani e mi sono invece piuttosto confortato e stupito di quanto i genitori non si siano intromessi ed abbiano lasciato che i loro figli si scontrassero con una organizzazione più strutturata e molto meno flessibile rispetto al passato. Una squadra Under 17 con l’obiettivo di crescita e non di risultato, un campionato senza troppe velleità ma con molta importanza.

Le difficoltà iniziali sono state quelle nell’educare il gruppo e nell’organizzarlo rispetto a presenze ed impegno negli allenamenti. Poi si è passati alle difficoltà del lavoro da fare, di crescita, considerando però il livello eterogeneo del gruppo: come organizzare sedute di allenamento produttive senza annoiare i più dotati o scoraggiare i meno ?

La difficoltà maggiore l’ho constatata invece nella assoluta instabilità di rendimento. Dopo una ottima prima fase di continua crescita abbiamo alternato passi avanti e passi indietro. Ho constatato una scarsissima predisposizione nelle gestione del gioco e dei suoi ritmi: una corsa folle, sempre e comunque, al di là del punteggio ed io a sgolarmi in panchina.

Un gruppo fortemente emozionale: cominciare bene e finire bene, cominciare male e scivolare sempre più giù. Abbiamo anche perso partite che stavamo ampiamente conducendo e le abbiamo perso solo per essere incappati in minuti di buon gioco che che purtroppo però non risultava redditizio in termini di punti realizzati. Questo è accaduto soprattutto contro difese schierate a zona, difese che secondo me, con scarsa professionalità visto il livello tecnico e le età, alcuni colleghi prediligevano per riuscire ad abbassare le percentuali realizzative degli avversari.
Si, parlo di scarsa professionalità perché non si può a mio avviso non saper difendere un blocco, un taglio, prendere parziali di oltre 15 punti difendendo a uomo e senza nemmeno provare a registrare la propria difesa con un timeout, decidere di passare a zona. Continuo a dire si trattasse di scarsa professionalità perché la zona non fruttava quasi mai palle rubate o penetrazioni chiuse quanto uno scarso movimento avversario e  scarse percentuali: un gioco orribile per tutti ed un punteggio bassissimo perché in qualche caso chi guadagnava il rimbalzo avendo difeso a zona poi non indovinava nemmeno un terzo tempo in transizione

Nonostante quindi trovassimo tiri aperti ed un’ ottima circolazione di palla, di fatto neutralizzando le difese a zona avversarie, il più volte ho percepito la sfiducia ed il malumore dei ragazzi che non realizzando canestri mostravano umore nero al quale seguiva un lento cedere fino alla sconfitta. C’è da dire che li ho sempre incitati, bestemmiando dentro di me ma urlando loro che l’azione era molto buona.
Non erano spinti dal buon gioco e dai tiri aperti guadagnati, non provavano a proseguire il nostro gioco di attacco come mi sarei invece aspettato ma, piuttosto, si demoralizzavano non notando che al di là del tabellone c’era un successo di crescita e di nozioni via via messe in tasca.
Difficile convincersi di questo anche per noi adulti quando poi si esce di fatto sconfitti dal campo, va ammesso.

E’ accaduto anche di perdere contro difese a uomo (ma molto più raramente in percentuale) ed è capitato più che altro per scarsa cura di alcune situazioni quali aperture in momenti chiave, scarsa lettura dei tempi di gioco e tendenza a soluzioni personali a discapito del gioco organizzato.

Un gioco organizzato che, non raramente, abbiamo mostrato non solo a tratti ma anche per l’interezza delle gare: un gioco che ha fruttato una pallacanestro bella a vedersi e fortemente redditizia nonostante non fossimo una squadra dalle evidenti doti tecniche.

Ho avuto modo, con estrema soddisfazione, di notare quanto i nostri giochi di attacco, eseguiti con attenzione a tempi e spazi, producessero molti punti contro le difese avversarie e credevo questo mostrasse ai miei quanto il gioco strutturato e le regole imposte (offensive e difensive) fossero importanti seppure noiose. Con sommo stupore, nonostante queste chiare dimostrazioni ottenute anche con la prima in classifica, tutto il campionato ci ha visto appunto alternare prestazioni ottime contro ottime squadre e prestazioni confusionarie contro squadre più modeste.

Ho notato quanto inoltre fosse difficile calcificare nei miei giocatori le nostre scelte tattiche difensive e di quanto queste tendessero, al netto di espliciti allenamenti sul tema, ad essere poi abbandonate gradualmente. “Un processo di disimparare” continuo: ho dovuto insistere con gli stessi concetti spiegati ad ottobre, fino a maggio e non perché non fosse chiaro quando usare un movimento (tattica) o come usarlo (tecnica) ma semplicemente a causa superficialità e del “dimenticare quanto acquisito nonostante avesse fruttato.
Non avevo mai lavorato con giocatori che “disimparano” e che hanno bisogno di esercizi basilari relativi a concetti che, via via, ci si aspetterebbe invece fossero stati metabolizzati.

Senza dubbio una bellissima e formativa esperienza che ci ha fruttato un bilancio generale di crescita personale e cestistica, un costante impegno, una quarta posizione in classifica ed un gruppo al suo interno piuttosto coeso.

Credo che con i giovani occorra quantomeno lavorare a mini cicli di 2 o 3 anni per dire di aver davvero impiantato una idea di gioco e per dire di aver costruito solide basi che, nel mio caso, senza voler criticare chi mi ha preceduto nell’istruzione, credo siano state progettate in maniera purtroppo molto approssimativa.

Al di là dei numeri e delle statistiche, dei punti in classifica, ho visto giocatori tirare meglio, cambiare carattere in campo, capire meccanismi di tagli o rotazioni difensive. Ho visto ragazzi emozionarsi, genitori appassionarsi.

Mi sarei aspettato di poter lavorare diversamente ma constatate importanti lacune tecniche e tattiche ho impostato un lento e paziente lavoro che però non è stato del tutto eseguito come avrei voluto: per non rischiare di incappare in periodi di umore basso causato da troppe sconfitte ho dovuto dotare i ragazzi, da subito, di concetti difensivi ed offensivi e per non tralasciare un po di atletica e di propriocezione nonché le fasi di attivazione e prevenzione da infortuni articolari e muscolari, ho dovuto programmare allenamenti piuttosto variegati, tanto (troppo) frammentati nel loro filo conduttore: non proprio, quindi, come da indicazioni dei formatori fip…
Questo porterebbe ad ulteriori riflessioni sul tema formazione FIP, un tema che però tralascio per ora.
Di certo va detto che la realtà dei campionati regionali non è quella dei nazionali.
Quanti si allenano su un campo e giocano su un altro, per esempio? Questo influisce moltissimo !
Condensare tutto quanto sopra detto in sedute da 60′ è un’impresa vera e non lo dico di certo perché a sostenerla è stato il sottoscritto.

La stagione è finita, l’ultima sirena suonata ed anche quest’anno mi sento soddisfatto mettendo a posto referti, che siano gialli oppure rosa, sistemando le mie relazioni post partita, i piani allenamento.
Ho altri amici ora, in qualche modo nuovi figli con i quali ho dovuto alternare durezza e carezze, regimi militari ad atteggiamenti di complicità e fratellanza. So da me che pur non dicendocelo ci siamo più volte emozionati, sopratutto vincendo dopo qualche sofferenza o vincendo per fare un regalo a qualche compagno che aveva perso un familiare prima della partita.

Io ne sono certo, da tutti loro ho imparato molto e spero anche di aver lasciato qualcosa.

 

Coach Massimo Soldini

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