Rendez-vous

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Il piano di volo è stato modificato senza che potessimo rendercene conto.

Gli ultimi monitoraggi ci hanno mostrato che l’assetto era del tutto variato e che sarebbe stato necessario valutare diverse possibilità per le ultime manovre. 

I contatti negli ultimi tempi sono diventati più chiari ed io non so ancora dire se sia per il fatto che siamo e ci sentiamo più vicini o per il fatto che, diminuiti distanza e tempo, loro sono oggettivamente più forti, presenti. 

Mi chiedo come comunicheremo, come riusciremo ad intenderci, se a gesti o con che tipo di altri chiari segnali, come potremo capire i loro bisogni, come riusciranno a soddisfare le nostre curiosità. 

Voglio affidarmi a loro, quando arriveranno: hanno esperienza, visto situazioni, distanze ed hanno vissuto un tempo nel quale poter imparare ascoltando, manifestandosi via via in maniera maggiore ai nostri occhi, alle nostre incredule orecchie.

Ho ascoltato i loro messaggi, i loro suoni liquidi e distorti, provato a comprendere la loro logica ed i loro intenti. Ho speso ore studiando manuali per capire il loro ambiente, qualcosa che la nostra scienza conosce in maniera insufficiente e basata su supposizioni che spero potremo confermare o sfatare in prima persona. 

Abbiamo analizzato le operazioni: non è necessario che io sia presente al loro arrivo ma mi piacerebbe esserci e del resto la modifica del piano di volo include parecchie variabili, alcune delle quali generano un misto di eccitazione mista a paura. 

È una grande avventura: mi piacerebbe saper trasferire quello che mi scorre dentro, il flusso dei miei pensieri, delle mie scoperte fra scienza ed emozione, formule e decisioni da prendere. 

La loro nave, il mezzo col quale arriveranno qui da noi su questo pianeta, ha una forma bizzarra, in grado di adattare le sue dimensioni e la sua forma secondo loro bisogno. Ci sono spesso turbolenze, comunicazioni rapide che siamo riusciti a sentire, movimenti che siamo riusciti a cogliere ad occhio nudo, senza bisogno di strumentazione. Non siamo riusciti a capire se dentro la loro nave tutto scorra davvero al meglio come i parametri misurati paiono suggerire; riusciamo a sentirci, a comunicare ad orari più o meno fissi: questo significa che, come da programma, hanno compreso il ritmo della vita qui da noi così che uno degli aspetti critici sia divenuto invece meno preoccupante. 

Sappiamo molto di loro ma sono certo che la nostra aspettativa sia in ogni caso labile, che saremo sorpresi: due noi, due loro, un incontro e poi una missione molto lunga che i due equipaggi dovranno portare avanti per anni ed anni. 

La nostra missione funge da continuità per la vita sul pianeta terra, da espansione per la specie umana: è importante soprattutto ora che qui sulla Terra stiamo vivendo una crisi climatica ed energetica, ora che usciamo da una pandemia la cui mortalità pur non mettendo in crisi la nostra specie ha raggiunto picchi molto preoccupanti. Forse anche per via di questa mortalità hanno deciso che il loro equipaggio sarebbe stato di 2 donne: la continuità della nostra e delle loro specie passa infatti senza dubbio su studi scientifici basati sulle donne, sulla loro salute. Credo inoltre che abbiano capito ed equiparato diritti e competenze, che per loro sia più naturale affermarsi senza pregiudizi. 

Ricordo benissimo la preparazione della nostra missione, le difficoltà fisiche, i momenti critici, la frustrazione, la durata estenuante delle fasi, durate anni, prima della partenza. 

Siamo stati coraggiosi, lo dico da me: in questo periodo in pochi hanno maturato le stesse decisioni. 

Ci avviciniamo al vero e proprio contatto con molti dubbi ancora da chiarire e qualche fisiologica paura: l’altro equipaggio è più piccolo di corporatura rispetto a quanto avessimo potuto immaginare con i nostri strumenti che ora rivelano invece con maggiore chiarezza le dimensioni corporee; dimensioni che ci costringeranno ad operazioni più delicate, ad agire con estrema cautela soprattutto perché pur essendo simili ad altri essere già incontrati da noi, ad altri in definitiva ben integrati fra le comunità di essere umani, adulti o meno, i consulenti medici ci hanno detto con chiarezza di non poter sapere come effettivamente reagiranno alla nostra gravità.
Sappiamo che non riusciranno a stare in piedi in autonomia, che dovremo provvedere a questo ed altri bisogni; su tutti quello dell’alimentazione sebbene la loro nave sia dotata di due appendici in grado di fornire del cibo adeguato che porterà gradualmente l’altro equipaggio a conoscere, mangiare e digerire anche il nostro cibo. Sappiamo che il loro ambiente, almeno dentro la loro nave, è piuttosto buio e che per questo nei primi periodi non riusciranno a vederci né a comprendere il nostro sistema di luci e colori, ma sappiamo che riconosceranno in generale i suoni e che ci riconosceranno per averci ascoltati durante questi lunghi mesi di viaggio. 

Sarà importante ed interessante che il personale medico valuti le loro condizioni all’arrivo: non saremo in grado di controllare la situazione subito dopo l’arrivo con la necessaria competenza ed in più c’è il rischio che il mio pilota possa essere stanco od addirittura ferito: abbiamo studiato a lungo e visto video di altre missioni simili alla nostra che però è resa più difficile dalla condizione generale derivante dalla pandemia covid19 che investe il pianeta terra. Abbiamo visto che praticamente in tutte le altre missioni il pilota termina la missione stremato dalle procedure di rendez-vous. Credo che dovrò organizzare al meglio le operazioni pratiche, che sarò da solo in molte delle fasi successive al rendez-vous, che dovrò portare a termine rapporti dettagliati e documenti necessari al proseguimento della missione. Sono eccitato, aspettavo questa missione da anni. 

Scriverò in breve per lasciare traccia di quello che sta accadendo: le operazioni del rendez-vous saranno totalmente diverse da come abbiamo pianificato.

 

 

Questa sera, dopo cena, eravamo sdraiati in attesa di dormire mentre tutti gli strumenti davano segnali positivi, mentre la loro nave viaggiava sicura e silenziosa. 

Una forte turbolenza ha interessato la loro nave facendo loro perdere il controllo: ne abbiamo visti gli effetti in maniera così improvvisa e violenta da perdere la calma, da sentire il cuore sbattere qui e là dalla paura densa ed imponderabile. Hanno perso parte del loro carico, lo abbiamo visto ad occhio nudo, senza necessità di strumenti. Il mio pilota è rimasto calmo, governato la rotta nei primi delicati momenti e così di certo ha fatto il loro: stiamo lavorando perché il rendez-vous ci sia nello stesso punto previsto: è più sicuro, avremo più supporto dalla base. Il piano di volo è cambiato di tanto, velocità e parametri sono diversi, dobbiamo calcolare in fretta, spostarci, accelerare pur tenendo fisso il punto di incontro. 

Guiderò io fino al punto di rendez-vous: ho lasciato al mio pilota l’assoluto governo delle comunicazioni con l’altro equipaggio: la sua assoluta competenza e capacità di loro comprensione è ancora più fondamentale in queste ore che ci separano dall’arrivo. Continuano a comunicare, ma in maniera molto più disordinata e spesso è difficile interpretare cosa sta accadendo alla loro nave.
Ho aumentato la velocità, coperto la distanza per raggiungere il punto di incontro: abbiamo preso qualche rischio, cercato di portare tutto lo stretto necessario nel modulo che useremo per il rendez-vous. Pochi minuti, tante decisioni e poi questo navigare veloci, mantenendo il contatto, col dubbio di dover cambiare rotta, di dover spostare il punto di incontro sulla base delle condizioni della loro nave.
Ho visto senza bisogno di strumenti una grande perdita di liquido: mi chiedo se avranno tutto il necessario per raggiungerci all’appuntamento, se il liquido rimasto sarà loro sufficiente, mi chiedo a cosa esattamente potesse servire, se fosse essenziale per le manovre di contatto.

Il nostro equipaggio di back-up era impressionato: durante la forte turbolenza hanno avviato una videchiamata di controllo come di consueto, alla sera, senza sapere quanto stava invece succedendo. Ho risposto di fretta, mentre il pilota si preparava e prendeva con sé quanto ha pensato potesse esserci utile nella navigazione col modulo che stiamo usando per raggiungere il punto di incontro. Poi ho respirato più tranquillo e siamo partiti pieni di dubbi e speranze, forti delle nostre decisioni.

Molto velocemente prima di andare ho chiamato il controllo missione: il direttore ha confermato la nostra idea di lasciare inalterato il punto di rendez-vous ma chiarito che occorre procedere, senza errori di rotta, perché il tempo sarà un fattore determinante. Ad avviso del controllo missione non dovremmo avere problemi a raggiungere il punto stabilito: conosco bene le coordinate, ho guidato su queste rotte per anni. 

Raggiunto il punto di incontro si sono fatte fitte le comunicazioni del personale medico che accoglierà l’altro equipaggio.
Abbiamo dato loro coordinate per l’aggiustamento della rotta: ci sono state fasi pericolose nelle quali i nostri strumenti non hanno consentito di determinare con precisione lo stato delle cose, le loro condizioni così che accedendo direttamente al loro centro di controllo della nave si sia riusciti però ad indurre la sequenza di rendez-vous, a guidarle a raggiungerci.
C’è stata calma per qualche ora, poi fortissime turbolenze che hanno messo a rischio il mio pilota. Ho dovuto prendere decisioni importanti dopo esserci consigliati appena con un filo di fiato nella notte che ci separava da questo incontro. Ho temuto per la sua salute, per la salute dell’altro equipaggio.
Ho preso posto e mantenuto la posizione per molte ore studiando dati, tracciati regolari o meno, immaginando, attendendo il momento sperato per anni, anni di preparazione, frustrazione, impegno, studio.

Sono trascorse molte ore: siamo stati fermi al punto di incontro incrementando via via i contatti col controllo missione. Ci sono stati anche momenti di assoluta calma, silenzio e veramente nulla degno di nota: quelli sono gli attimi più intimi nei quali ognuno di noi 4 ha cullato i propri pensieri, le proprie paure. In quei momenti ho provato ad immaginare quali potessero essere le sensazioni del mio pilota ora che vestiva quella tuta particolare, ora che i medici continuavano a sistemare, aggiustare, prescrivere farmaci utili al rendez-vous.
Pur essendo lì accanto ero impegnato in altre operazioni di supporto altrettanto necessarie così che mi sembrasse tutto irreale e differente, in qualche modo assurdamente distante. Il pilota è stato sofferente per lunghe ore: pressione e parametri vitali erano fortemente influenzati dai farmaci somministrati per agevolare il rendez-vous, il contatto con l’altro equipaggio: pericolo di infezioni, contatti violenti derivanti dalle difficoltà di abbandono della loro nave, programmata per distruggersi in parte dopo l’arrivo.
Il nostro piano di volo è cambiato moltissimo, non sarei dovuto essere qui allo sbarco ma tutto quanto è successo in questi ultimi giorni ed ultime ore ha indotto cambiamenti favorevoli alla mia presenza.
Sto cercando di capire, guardare tutto, registrare fisicamente alcuni momenti, scattare delle foto che possano permettere ad altri equipaggi di gestire missioni così complesse, così lunghe.

È faticoso, fa caldo: indossare maschere e camici protettivi non aiuta nei movimenti, rende le persone poco riconoscibili, ingessate, ma è necessario per garantire che non ci siano contaminazioni per l’altro equipaggio e viceversa. Mi chiedo che impressione avranno di noi, se all’arrivo saranno nelle condizioni di riconoscerci per quanto sappiamo già che non gli sarà possibile vederci nel vero senso del termine. Non vedo l’ora che arrivino e per lunghe fasi non ho saputo cosa fare per evitare difficoltà al mio pilota, per lunghe ore mi sono sentito inutile e solo in attesa; quei farmaci che tutelano i primi contatti, l’incontro vero e proprio, provocano dolori, lo percepisco dal suo visto corrugato sempre di più.
Le mie competenze, le mie possibilità fisiche sono del tutto più adatte ai momenti post sbarco, alle fasi della missione che seguiranno, al periodo di adattamento dell’equipaggio alla nostra vita qui.

La loro nave ha aperto la porta di uscita, riesco a vedere quella che penso essere la testa del primo membro del loro equipaggio: sono eccitato, preoccupato, spaventato. Il personale medico è pronto ad accogliere, verificare i parametri vitali, specie la loro capacità di respirare il nostro ossigeno, la loro possibilità di proseguire la vita qui con noi. Sono momenti delicati anche se i nostri medici hanno avuto esperienze similari e sanno affrontare i problemi che questi esseri così diversi da noi possono incontrare nelle prime fasi di adattamento, di vita qui sulla terra.

Mi chiedo se i loro piedi, le loro mani, siano esattamente come le nostre. Mi chiedo perfino se in qualche modo possano somigliarmi e so che sono riflessioni sciocche, non scientifiche in qualche modo. So che influiremo molto sulla loro formazione visto che saremo i loro contatti quotidiani con la nostra società, la nostra scienza, il portale di ingresso al nostro mondo, la loro guida. Il pilota è inerme, paradossalmente può solo attendere resistendo ai forti movimenti che il rendez-vous include: è uno stress fisico perché la manovra è complicata e finché non si arriva al momento del vero e proprio contatto non si hanno certezze circa dimensioni, possibilità e velocità del processo, dipendente senza dubbio dalle condizioni della loro nave dopo la perdita del liquido avvenuta e dai loro parametri vitali. Sono ore di alta scienza, di misurazioni, di speranze per me che guiderò poi al rientro alla base, fra qualche giorno, stabilizzata la condizione fisica dei due membri dell’altro equipaggio e del mio pilota. Penseremo poi alle manovre di rientro alla base.

Le manovre di avvicinamento portano con sé sforzi quasi inumani: devono infilarsi in un condotto inizialmente più piccolo del loro corpo, svincolarsi dalle connessioni con la loro nave, abbandonare per un attimo ogni tipo di nutrimento, compreso ossigeno, giungere nella nostra atmosfera e poi, finalmente, compiere il primo atto respiratorio ammesso che tutto sia andato per il verso giusto.
Ci siamo, siamo vicini, possiamo vedere il primo membro dell’altro equipaggio imboccare il piccolo tunnel di uscita: il mio pilota spinge, grida, fa forza con ogni muscolo per aiutare il rendez-vous: posso solo aspettare, tenere tutto sotto controllo, sostenere, motivare; ma ora le manovre sono tutte in mano a loro ed essere solo agganciato alla speranza è disarmante.

In questa notte di agosto mi pare tutto un sogno, tutto molto irreale e mi sento protagonista di una impresa che lascerà il segno nelle nostre vite.

Poi tutto diventa veloce e dal piccolo tunnel esce di colpo il primo membro dell’equipaggio, avvolto in una sorta di tuta protettiva di colore bianco: il personale medico controlla, mi fa cenni convenzionali per dirmi che tutto sta andando come programmato. Io mantengo la posizione, comunico col pilota per le ultime operazioni: la loro nave ha cominciato la fase di autodistruzione programmata, corrispondente ad ogni abbandono della stessa da parte di un membro dell’equipaggio. L’abbandono totale dell’ambiente che per molti mesi ha permesso loro la vita è complesso e le ultime manovre forse sono le più pericolose visto che l’altro membro è sì di corporatura più modesta e quindi facilitato nell’uscita imboccando il piccolo tunnel, ma tutto è diventato maggiormente difficile a causa del fatto che, da solo, non riesce a trovare l’esatta posizione e che continua a muoversi anche a causa della forza di gravità alla quale non sono abituate. Per mesi hanno letteralmente galleggiato non consapevoli di quanto fisicamente possa essere provante vivere qui con forza di gravità e necessità di utilizzare muscoli nelle azioni quotidiane.

D’un tratto il tunnel è impegnato, il personale di terra mi segnala che il primo membro è assicurato alla capsula di controllo e che i sui parametri sono nella norma, che sta cominciando a respirare autonomamente ossigeno. Arriva il secondo membro dell’equipaggio, lo vedo sofferente, veramente piccino ma nelle sembianze generali che mi aspettavo.

Sono emozionato e stupito: sono del tutto simili a noi, hanno arti prensili assimilabili ai nostri, una forma non ancora retta, sono infastidite dalle luci, forse dalle molte voci del personale coinvolto nel rendez-vous, ma ci sono, parlano sebbene non siamo in grado di comprenderle. Emettono dei suoni acuti, forse verificano di essere giunte entrambe; penserò più tardi e con molta calma alle comunicazioni: sapevamo da sempre che avremmo dovuto imparare a vicenda la lingua per comunicare.
Ci è stato spiegato che le loro sembianze cambieranno rapidamente nei primi giorni di adattamento alla nostra atmosfera e che la sofferenza nelle manovre di rendez-vous oltre ad aver provato il mio pilota ha provato anche loro che via via rilasseranno muscoli, proveranno movimenti ed accentueranno gli atti respiratori.

È incredibile come anni di studio, di scienza, permettano di prevedere, tenere sotto controllo questi momenti, permettano di far giungere a noi essere così diversi, di farli crescere nel nostro ambiente.
Ho verificato, con paura e curiosità di quanti arti disponessero, di quale forma fossero: sono del tutto simili a noi e potranno adattarsi al meglio alla vita qui. Hanno voci differenti fra loro: posso riconoscerle dai primi attimi.

Abbiamo scattato una foto pochi minuti dopo il rendez-vous, prima che i medici del controllo missione chiudessero le piccole capsule per vigilare le prossime ore: siamo tutti insieme, tutti e 4, due equipaggi. L’abbiamo inviata a tutte le persone che ci hanno sostenuti in questi mesi di preparazione della missione. Io nella foto sono visibilmente commosso, il pilota provato ma soddisfatto e le altre due, l’altro equipaggio, piuttosto inconsapevoli a causa delle difficoltà di adattamento a temperatura, ossigeno, forza di gravità e luce.

Beatrice e Matilde, le mie figlie, sono nate una domenica mattina, come me del resto.
Domenica mattina all’alba: con calma, in un giorno di festa; festa grande per me, padre emozionato.

Non so ancora quali altri viaggi compirò, quali missioni condurrò, quali distanze saranno coperte, non so ancora a quali imprese prenderò parte ma so per certo che questa sia la più importante missione della mia vita, che quell’incontro, quel rendez-vous è un momento che porterò dentro per sempre, che mi accompagnerà sempre, anche nell’ultimo viaggio che compirò certo di aver lasciato un segno, una speranza per un futuro migliore.

 

 

 

 

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