Musica brutta

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Pallacanestro, prima che tutto cominci

Pallacanestro, prima che tutto cominci

 

Quanto è brutta la musica suonata a folle volume mentre io sono lì che raccolgo le mie cose e la gente è festosa attorno.

gli altoparlanti gracchiano e le risa si uniscono a quei suoni distorti mentre tutto sempre scombussolato, mescolato. Quelle canzoni che tante volte mi sono sembrate belle, che ho cantato in macchina, felice, adesso mi sembrano così brutte e volgari mentre sono chinato a rassettare lo zaino, a ripulire per bene la mia lavagnetta.

Stringo le mani, saluto, faccio i complimenti di rito schivando i ragazzini che in genere poi invadono il campo, mi guardo attorno senza girare la testa, sorrido o strizzo l’occhio ai miei, guardo verso gli spalti: qualcosa a loro devo sempre e comunque e ci vado col sorriso, ringraziando, scusandomi come stasera, stringendo sempre la loro mano.

Non vorrei mai dimenticare nessuno, a parte me, in quei momenti. Davvero, sono mai state così brutte quelle canzoni?

Che fine hanno fatto i nostri intenti, le nostre tattiche, tutto il lavoro, i sacrifici delle settimane di allenamento, gli sforzi, le notti dormite poche ore, i piani allenamento scritti sul treno, i libri in inglese degli allenatori americani?

Mi assale violenta la scorsa settimana di lavoro, le cose da fare, arretrate a casa, piccolo rifugio, penso alle mie figlie e sorrido un po.

Adesso nulla ritorna, nessun ragionamento: schivo bambini festanti ed urlanti, do qualche pacca ai miei giocatori: qualcosa farò, ma non so ancora bene cosa. Stringo in ultimo ls mano agli arbitri, ringrazio come sempre e ritiro la mia copia del referto. Giallo fa schifo, lo so da sempre e penso che fu bello alla mia prima partita ottenerne, invece, uno rosa.

Penso al lavoro ch c’è da fare, che una serata come questa non ci voleva, che però ne ho superate tante, che capitano, ma non mi rincuora niente ed ho davanti solo l’autostrada per il ritorno a casa dalla lunga trasferta, le ore insonni a ragionare su che diavolo mai avrei potuto fare, poi il treno per tornare a casa, la mattina fredda in motorino verso la stazione. Ho davanti solo ore da solo, qualche canzone in cuffia e del lavoro che non saprò ancora bene come tirar fuori dagli appunti che ho già steso fra mente ed agenda.

L’urlo

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Coach Soldini, Aurelio 2018-2019

Coach Soldini, Aurelio 2018-2019

Gli allenamenti sono un attesa.
Tecnicamente sono essenziali ma emotivamente sono un’attesa.
Quel che conta è la gara, la partita, la battaglia, il rumore che fa lo scontro.

Quello che mi manca non è il discorso pre partita che pure mi emoziona a certe volte fa lacrimare alle mie stesse parole.

Quello che mi manca è la paura, il subbuglio interiore che monta, l’irreparabile sensazione che tutto si avvicina: quando usciamo dal piccolo tunnel è come emergere da un’apnea, un esplodere di quei rumori che chiusi dentro il nostro spogliatoio sentivamo attutiti.
Quel che mi manca è quella sensazione ingestibile di paura che mi fa muovere veloce, che mi fa bere fingendomi tranquillo mentre seguo i miei riti arrivando in panchina, facendo il gesto del buon cristiano, bussando 3 volte sul legno della mia lavagnetta per svegliare gli dei della pallacanestro.
Quelli sono i momenti che mi mancano: quando arriva il momento di rifare l’urlo che dentro lo spogliatoi era lo stesso ma meno intenso.

In quel momento dentro si sente di tutto, compreso il cuore che sballa qualche rintocco: dentro lo spogliatoio le parole ci hanno infuocati, le strategie rassicurati, ma il rumore arrivati in campo ci ha spaventati; lo fa da sempre, lo farà per sempre: che lo si ammetta oppure meno.
Mi manca quel momento in cui tutti hanno paura ma nessuno sa più niente dell’altro: ognuno pensa d’essere il solo e cerca lo sguardo degli altri.
Allora c’è un attimo in cui dico semplicemente “quà!”, e tutti completano il cerchio di cui io sono il primo punto della circonferenza.
Ognuno mette la sua mano al centro, io tengo la mia sotto a tutte, perché li reggo, perché li sostengo, perché posso farmi schiacciare ma li terrò a galla, quello è il senso della mia mano sotto tutte le loro.
Allora gridiamo, il nostro grido: quello è il momento in cui la paura vola via, in cui ognuno si sente sicuro, rassicurato, protetto, in cui ognuno di noi è sollevato perché è convinto che fosse il solo ad avere paura e che ora, tutti insieme, invece, non ne avremo più.
Adesso, solo adesso siamo pronti e soprattutto senza paura: appena dopo quell’attimo, quel grido liberatorio in cui l’ansia, la paura ed il subbuglio lasciano il posto alla voglia dello scontro, per duro che sia, per il finale che abbia.
Poi resta poco da fare: l’arbitro lancia la palla e mentre è in volo, in pratica, è già tutto finito. Il resto sono appena 40 minuti, solo una battaglia: ne usciremo vincitori oppure vinti ma non avremo più avuto paura, ci abbracceremo sempre e comunque.

Ho notato che chi, come me un tempo, gioca sotto canestro, cerca subito un contatto abbastanza duro, uno scontro personale così da svegliarsi, da misurarsi, da ricordarsi di tenere duri gli addominali là sotto il tabellone. C’è poi chi gioca di fino, d’astuzia e va via veloce per per irretire gli avversari.
Quanto siamo belli e stupidi in quei momenti per noi così epici, nel rumore della nostra battaglia.

Io ricordo pubblico in centinaia, il boato delle trombette e le bandiere, ricordo pure battaglie con pubblico in numero deprimente e silenzio di poco interesse. Ho conosciuto la vittoria definitiva, del campionato, sconfitte rumorose, campionati altissimi, altri di sopravvivenza sportiva.
Ricordo tutto. Non ricordo però nessun ingresso in campo senza quella maledetta paura, senza il senso rassicurante di quel grido liberatorio, di quell’illusione di ognuno d’essere il solo ad aver paura, di quella sciocca ma profonda sicurezza immediatamente dopo.

Gli allenamenti sono solo un’attesa, proprio come questi giorni lontano dal campo.

Cronache di un corso FIP

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Giorno 1
Tutto mi ricorda molto il servizio di leva militare.

Si parte con gente della tua zona, della tua regione almeno: si arriva, c’è il processo della vestizione, della consegna di tutto il materiale insomma e la costante è che le taglie sono comunque tutte sballate. Poi ti tocca sistemare tutto nell’armadio, poi conosci meglio il compagno di camera che qui almeno è uno solo. Funziona tutto ad istruzioni impartite ed in qualche modo con uniformi da vestire. Si fa la coda in ordine alfabetico per tutto. Tutto. Si, è come in caserma, ne sono convinto.
Giorno 2
È sempre più servizio di leva. Ti svegli alle 6, mangi solo se sono arrivati tutti, mangi poco e male, lavori tutto il giorno ed appena hai 2 minuti cerchi di riposare o dormire.
I più anziani sono i più organizzati, ordinati e puntuali, si vede ad occhio e subito. Io sono fra loro, le nuove leve invece sono sciatte e disordinate.
Sorpresa! Il campo è a 4 km e noi siamo venuti in treno: avrebbero potuto avvisarci prima ma la federazione è così: del resto ci hanno chiesto le taglie per il vestiario e poi ce le hanno date tutte sbagliate.
“C” è un ex professionista ora “vecchiotto” anche per scelta. Ci insegna tutto, anche a pisciare.
Ma tutto questo secondo lui, ovvio, che è un uomo buono e generoso anche se a volte è troppo convinto d’avere in tasca tutta la verità. Ha avuto operazioni a tendine di Achille e legamenti, è alto più di 2 m e nel letto non c’entro nemmeno io; penso a come lui non riesca a dormire. È buono e da consigli a tutti ma alla fine nonostante il rispetto dei formatori per lui, a tratti, più che meno preparato di noi pare meno avvezzo a tutte quelle pratiche e fissazioni che invece sono richieste dalla federazione (Che si atteggia sempre più ad una setta).
La strada per il campo è assolata e deserta, resiste solo una prostituta sempre intenta a mettersi su la crema protettiva. Sulla strada del ritorno, alla sera, noto che di sfondo alla strada appena riasfaltata c’è un mostruoso agglomerato di case popolari, proprio lì appena lasciato il palazzetto che è di serie A e ci gioca Brindisi, ma che dal vero è deludente come la cucina di questo posto: quando arrivi ti ammalia con la piscina ed il verde che sono entrambi più piccoli, e di molto, di quello che si era visto in foto sul sito web.
Nel silenzio dei pochi minuti di pausa dopo pranzo, preparando il piano allenamenti, Jacopo dall’altra stanza, parla a voce alta dell’assoluta necessità di inclusione del prosciutto cotto nell’insalata di riso che abbiamo appena mangiato. Seguono bestemmie in dialetto viterbese.

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Allenare

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Stazione di San Miniato, Fucecchio

Il treno si era disteso al binario della piccola stazione proprio mentre un raggio di sole andava sbucando, abbassandosi, dietro i grossi cespugli li di fronte.

Vecchie imposte di legno sulle quali campeggiava una scritta rossa, risanata di recente ma proveniente da qualche decennio indietro, da decenni in cui il paese, ma intendo l’Italia, andava ad una velocità differente, ad un ritmo lento ed attento per capirci meglio. Continua a leggere….

Il bar, le grandi speranze, il tennis, il campo da basket, i pensieri nel tunnel e la scaramanzia di un Coach

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campo vuoto morena

So da me che il titolo è un tourbillon che apparentemente pare senza senso..

Ludovico Einaudi non c’entra nulla, ma è il sottofondo che ho scelto mentre picchio sui tasti; e mi calma e poi mi porta su e mi ricorda e mi sostiene: dolce, amaro, poi dolciastro e consapevole di un bello che nelle parole non riesce ad entrare.

Così’ ieri sono tornato sul campo da basket, dopo un paio di mesi, per l’inizio della stagione. Allenamenti da programmare, persone da incontrare, vecchi e nuovi progetti, un po’ di mercato ed accordi da raggiungere, “forte” della nuova tessera strappata con fatica.
Ci sono giornate nelle quali non sento più molto mio quel campo, il tunnel degli spogliatoi dal quale tante volte sono uscito dietro ai miei giocatori e nel quale sono rientrato mascherando emozioni dopo una vittoria così come dopo una sconfitta. Continua a leggere….

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