Tempus fugit, amor manet
Dic 07
Papà - Il mio progetto più grande e folle, Racconti beatrice, essere padre, figli, figlie, il tempo fugge, jazz, lettere a lucilio, lucilio, marimba, massimo soldini, matilde, Seneca, soldini, tempus fugit, tempus fugit amor manet, vibrafono, walden, walden ovvero la vita nei boschi No Comments
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Stamattina facevo il fumo dal naso respirando.
Lungo la piccola strada troviamo gli alberi umidi, con la corteggia inverdita dal muschio sul lato della strada dalla quale evidentemente prendono poco sole; c’è un albero cavo, ha un buco perfetto e tondo dove crediamo davvero sia nascosto ora un cane, ora un gatto ma mai un picchio come invece la mia mente di vecchio bambino, scontata, arrugginita si aspetterebbe.
Il gatto intanto, incontrato davvero, lo abbiamo visto scappare poco prima sull’erba imbiancata da rugiada e gelo.
Beatrice si è fatta togliere la giacca appena fuori dalla porta del corridoio delle classi, poi mi ha baciato sulla guancia e mi ha abbracciato stretto sorridendo sorniona. Matilde allora è tornata indietro pochi passi per far finta di rubarmi il naso così che poi, le ho ricordato, me lo avrebbe dovuto restituire oggi pomeriggio, tornando.
Sono già cresciute, penso, e mentre lo faccio Beatrice vedendo la scena torna ancora da me per fare lo stesso. Le lascio fare senza muovere un muscolo anche se a volte sembra sul serio stiano per staccarmelo e se ho sempre odiato chiunque mi toccasse il viso. E’ un esercizio di auto controllo.
Camminano lente ma sicure, vanno verso la loro classe ed io sento gli occhi affollati di lacrime.
Il tempo passa, il tempo scorre, il tempo fugge, il tempo passa alle mani come la sabbia del mare.
Sono già cresciute, non so ancora per quanto tempo vorranno stare in braccio, mi vorranno annusare e baciare, per quanto tempo cercheremo la gioia di vedere un gatto, condivideremo i giochi con le ombre, camminando assieme, per quanto tempo resteranno tali ed avranno senso i nostri piccoli segreti, i momenti a casa tipo cucinare, pasticciare, mangiare, giocare rotolandoci sul tappeto.
Non ho mai vissuto così tanto.
Sento dentro tutta l’irripetibilità di questi momenti, sento la caducità dell’uomo tutto, la velocità, la paura e mi sforzo di conservare, ricordare, annotare, fotografare. Sono travolto da tutto questo bello ma allo stesso tempo dall’impossibilità di catturare, conservare materialmente; penso che dovrò abituarmi a vivere di più, intendo più intensamente, leggere più libri perché da troppo tempo ho smesso, riassaporare parole meravigliose come quelle che Seneca scrisse a Lucilio, momenti di calma solitudine come in “Walden, ovvero la vita nei boschi”: spendo ore, da solo, a fantasticare circa una possibile vita in Finlandia e le vedo appunto passeggiare fra i boschi profumati con i compagni di scuola, dietro in fila alla maestra.
Percepisco chiara e dura la difficoltà di conservare senza però rendermi conto del tutto che questi che vorrei divenissero indelebili ricordi hanno comunque la magica capacità di far riaffiorare sensazioni e scene metabolizzate tanti anni fa, da bambino, quei ricordi n stretto senso e quegli stessi aneddoti che ora vengono fuori limpidi e che racconto a loro ogni giorno illudendomi di interessarle.
Sono fuori tempo come un musicista distratto, sono anacronistico perché affronto qualcosa di primordiale ed originale, antichissimo, con la tecnologia. Non servono foto o video, annotazioni: aiutano, si, ma non sono fondamentali: quest’onda di tecnologia, di materiali, non ha senso davanti la natura umana, davanti alla perfezione ed alla qualità dei loro corpi intatti, delle loro menti pulite e lucide, pronte ad accogliere. Tutto cade davanti alla bellezza dei loro piedi immacolati, dei loro nasi tondi, della loro pelle liscia, della macchina perfetta di un corpo appena nato la cui natura è fortissima e protesa a crescita ed apprendimento. Tutti quei meccanismi fisiologici e naturali come bisogni corporei od una ferita che si ripara in poco tempo sparendo da quella rosa e profumata pelle, quei denti bianchissimi, quegli occhi grandi mi ricordano la perfezione umana rovinata dall’esperienza della vita stessa, dal consumo emotivo, da un vivere sbagliato e fuori ritmo naturale, da una quotidianità che ci allontana dalla di vita nel senso assoluto e metafisico dell’espressione.
Vivendo ci si allontana dal concetto reale di vita per via dell’esperienza, del vissuto. Vivere invecchia e rovina ma dicendolo, capisco bene, che tutto possa apparire una banalità lapalissiana mentre nasconde un senso complesso, secco e scontroso da comprendere e gestire.
Non c’è niente di meglio, niente di più alto, niente di più assoluto che vivere questo tempo per poterlo davvero metabolizzare nutrendomi, integrare nelle stanze della mia rete interiore non sapendo quando questo mio viaggio finirà.
p.s. Annoto di parlare loro della marimba e del vibrafono. Della musica jazz e dobbiamo ascoltarla insieme. E’ una urgenza interiore
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