China taxi

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La mattina è ancora pioggia ed anche ritardando l’uscita non abbiamo ottenuto un momento davvero propizio per uscire.

Oggi è il giorno dei taxi quindi e più ancora dei tassisti perché camminare sotto l’acqua cercando le strade infestate dai motorini elettrici sarebbe improponibile. Così corse in taxi da e verso i templi buddhisti (vedi prossimo capitolo)

La guerra linguistica prosegue ad ogni incrocio e non basta fargli leggere l’indirizzo sulla guida od il nome del posto in lingua cinese perché prima di partire il tassista dirà comunque una qualche interminabile frase che a volte sembrerà una protesta, altre una domanda, alcune volte un perplessità. In ogni caso sarà incomprensibile come il fatto che non riescano a parlare nemmeno 4 parole base in inglese, 4 parole che possano consentirgli di lavorare al meglio. Continua a leggere….

Floid’s, la barberia

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Così uscendo dall’ufficio ho incontrato ancora il tassista jazzista, quello che al parcheggio taxi del grand’ hotel vicino piazza della Repubblica suona la tromba, accompagnato dal sottofondo del pianoforte,  della sua autoradio, quello che suona mentre aspetta che arrivino i clienti.

Ogni volta che lo incontro penso sempre al tipo che a Perugia sta li nei dintorni di corso Vannucci: il tipo con i dreads  e la sua fisarmonica: a raffica suona pezzi della colonna sonora del mitico film Il favoloso mondo di Amelie, un film che poi, in qualche modo, mi ha cambiato la vita.
E mi ricordo che gli voglio bene, perché è una delle mie certezze della vita: io vado a Perugia, prenoto sempre allo stesso ristorante (Civico 25), ordino sempre gli stessi favolosi piatti, e nel pomeriggio precedente passeggio, e lui è sempre lì: lui e la sua fisarmonica: e ci spendo minuti a starlo ad ascoltare, e credo ormai perfino lui si ricordi di me.

Allora, ho pensato, fosse il giorno giusto per andare da Floid’s, la barberia arredata in stile America anni 50/60: musica rockabilly, folk, country in sottofondo. Acconciature a tema, foto di Evlis ovunque, arredi  (vedi foto), semplicemente da urlo.
La barberia è nel quartiere africano (Metro b1 fermata Libia), vicino Montesacro, dove sono nato. Il barbiere è Paolo, piemontese, trapiantato qui per un amore poi sfumato. Il negozio è da visitare, gustare, vivere, ascoltare: in fondo a destra ci sono un pianoforte e delle chitarre: è possibile, volendo, improvvisare anche concerti, piccoli eventi a tema.

 

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Inutile descrivere quello che le immagini possono spiegare meglio delel mie parole. Dico solo che è un piacere, che è una barberia moderna con gusto al passato, che seduti in attesa potrete leggere fumetti e riviste dell’epoca (riviste di moto degli anni 80/90), fumetti tipo l’Intrepido (poggiato sulle mie gambe in foto).

Almeno stavolta scrivo poco, e lo faccio con gusto. Vi lascio guardare qualche foto, pensando che sarebbe bello andare lì, parlare di musica, del passato, scherzare col bambino capriccioso che si lagna per il taglio di capelli, ricordare di mio padre, annusare Floid, il dopobarba mitico del quale ho scritto, qui sul blog, parecchia pagine fa (QUI).

Sarebbe bello andare dire fare leggere pensare, ricordare. Io l’ho fatto, ne è valsa la pena.

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Massimo

 

Taxi

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taxi

Trovare un taxi, all’una e trentacinque di notte sembrava impossibile.

Quando trovò posto lì dietro invece, sentì d’essere sollevata e la perfezione di quell’attimo parve irreale, la comodità di quel sedile posteriore era accoglienza allo stato assoluto.

“Dove andiamo?”

In bilico fra realtà e fantasia aveva balbettato la destinazione come se la tassista non potesse riuscire ad orientarsi lì attorno, come se la strada fosse da inventare e non da percorrere.

Parlarono per tutto il tragitto e le curve non seppero spostare la traiettoria designata dei loro discorsi sinceri, le confidenze rese con semplicità, fra gioco e realtà, ad un estraneo.

“L’asfalto è proprio una bella invenzione”, disse guardando dallo specchietto retrovisore, incontrando la complicità di quello sguardo denso.

Ripresero a parlare, come se l’alternanza di buche ed asfalto, come se quel  commento estemporaneo fosse del tutto legato al resto dei loro discorsi di vita: la vita che fu e la vita che forse sarebbe stata poco più avanti sulla strada, qualche settimana o mese più avanti.

“Che buffe saremo”, pensava da lì dietro negli attimi di silenzio, “…quando ripenseremo a tutto questo”.

Quel gioco le spingeva a parlare e confidarsi, trincerandosi dietro un’estraneità inventata, un maschera invisibile senza motivo.

Sorrisero. Nel silenzio le ho viste fermarsi al lato della strada, al bordo della notte, sul ciglio di qualcosa ancora da dire.

Proseguirono sedute una accanto all’altra, ma credo seppero parlare meno, per scelta, fuori dal loro gioco.

Massimo


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