Barbiere

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Sento il collo stretto.
Il blu intenso del telo mi copre da lì alle gambe.
Allacciatura alle spalle, come una camicia di forza…

Accarezzo le crine del cavallo: la superficie levigata del ferro “scolpito”, ormai scolorito da altri come me che ci hanno passato su le dita, nella speranza di distogliersi, che il tempo passasse in fretta: altri uguali a me.

E’ sabato mattina e sono un bambino.
Uno qualsiasi, con un taglio osceno di capelli, un sacco di cose non dette, sullo sfondo sfocato di una Roma anni 80: motorini, vespe, “vini ed oli”, “polli ed abbacchi”, l’officina sotto casa, il mercato di quartiere.

Mi prende il viso di forza, come fosse di ferro anche il mio collo, mi gira e rigira mentre raschia col pettine come a scavare, mentre taglia deciso ignorando quello che avevo cercato di spiegare poco prima. Quello che volevo, come immaginavo..figuriamoci …
Quanto può essere attendibile un bambino seduto sul cavallo del barbiere?

Sento l’odore delle pessime sigarette che il barbiere ha fumato, mi gira il viso e mi dice di stare fermo. Respira vicino a me per il taglio delle basette ancora piccine, respira affannato, credo sia per la concentrazione. Ed io trattengo il respiro, chiudo gli occhi, aggotto la fronte, resisto, mi rimprovera deciso di non cambiare espressione, di non tirare la pelle.

Cerca di spiegarmi una precisione nel taglio che avrei potuto apprezzare solo anni dopo, davanti allo specchio, rasoio a mano libera fra le dita, ricordando.

Mio padre tuffa il viso in un giornale qualsiasi: gossip patinato anni 80.
Tv,personaggi sportivi, mescolati, accomunati da eventi che di straordinario non avrebbero davvero nulla se non il fatto di essere stampati su carta a diffusione nazionale.

Mi guarda accigliato.
E’ solo serio, ed io sto fermo anche col fastidio dei piccoli capelli che già tagliati pungono viso e collo.
Il pennello col borotalco, un pennello morbidissimo col dosatore incluso, azionato da un difettoso bottone: un attimo di sollievo nella polvere del talco profumato.

Fisso lo specchio davanti a me, mi immagino radermi, da grande, immagino quale barba, il dolore del rasoio quanto ti taglia,  l’allume di rocca, il dopobarba da mettere con quegli “schiaffetti” decisi del barbiere, immagino dirmi “servito”, come il barbiere dice alla fine.
Mi immagino prima di uscire di casa per andare al lavoro, mi chiedo quale lavoro, quale donna sonnecchierà ancora di là in camera.

La persone in attesa del loro turno leggono fumetti osè su carta che oggi diremmo riciclata, carta che all’epoca era solo una pessima carta.
Lando, Il tromba..le edizioni Lo squalo

Discorsi confusi: meccanica spicciola, risate, ovviamente discorsi di donne, il fiume di gente che passa lì davanti alla vetrina.

Ed io fisso lo specchio, una cartolina incastrata nella cornice , una spiaggia, “Saluti da Bali“…per anni ho continuato a credere fosse un errore. Bari, si scrive con la R pensavo. Ed ero già soddisfatto di me per così poco.

La bottiglia del mitico Floid è lì, col la sua pompetta arancione, stilosa ombrata dall’uso: adesso che sono invecchiato l’ho ritrovato, nella stessa bottiglia, con lo stesso spruzzatore.

Adesso mi guardo allo specchio, col viso insaponato. Non sono un bambino ed il rasoio scolpisce una barba nera con accenni “cacio e pepe” visti i primissimi peli bianchi.

Non fumo radendomi, come faceva mio padre, non ho il bacile verde che usava lui, in cui riversava l’acqua scaldata.
Uso un rasoio diverso, vivo una vita diversa, ho uno stile piuttosto simile, ho la radio in sottofondo che gracchia qualcosa che ascolto appena. La sua radio, quella a forma di lattina di coca-cola non so più dove sia. Dovrei ricercarla, funzionante o meno che sia.

Chiudo gli occhi e respiro l’odore del pennello , gusto il bruciore del dopobarba sulla pelle, li riapro e guardo lo spigolo in basso a sinistra dello specchio per cercare i saluti da Bali.

L’asciugamano penzola come al solito sulla mia spalla, ci nascondo il viso e mi rituffo in quel sabato pomeriggio uguale a tanti a altri ancora, lì dal barbiere, Roma, quartiere Montesacro.

Ho in mente la mano dura di mio padre che stringe la mia, la maniglia della porta a vetri, i passetti accanto ai suoi, in silenzio, come per non poter dire, abbracciare, confessare un bene manifestato in mille altre maniere, compresi quegli attimi così “adulti” di condivisione, poco prima.

Servito !” ed esco di casa, rasato alla perfezione, profumato e con la pelle perfettamente rilassata dalla crema.

Esco di casa ubriaco dai ricordi che cullo spesso come per poterli ricalcare e fare in modo non scoloriscano.

Servito…

ed esco di casa, felice e convinto di nulla.

…ma con la stessa ed identica curiosità di allora, uscendo dal negozio del barbiere di quartiere, guardando il mondo giù dal cavallo di ferro, diretto ancora oggi non so bene dove.

 

Massimo

 

P.S.
No, non ho quei fumetti.

 

 

 

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