Bilanci veloci

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fast clock

Come quando è venerdì pomeriggio d’estate e l’ufficio si è svuotato. Così ho fatto una ronda fino giù al distributore del caffè, mentre Miles Davis suonava tranquillo di là nella mia stanza.

Passando davanti alla stanza di Vale ho sentito l’odore dei bicchieri che all’asilo contenevano i pastelli colorati: è chiaramente quello stesso e facendo finta di niente, camminando ancora, ho rivisto me stesso fra quei corridoi della scuola. Ho rivisto gli attaccapanni  bassi,  appesi lungo i corridoi fuori dalle classi; ho rivisto  tutte le piccole giacche appese lì: oggi non funziona più così e gli attaccapanni sono dentro  ogni  classe perché il mondo è più brutto e le persone malfidate.

Allora mi è scattata la Sindrome del bilancio veloce e sono stato invaso dalla voglia di scrivere ed allo stesso tempo dall’incapacità di farlo: quello che mi scorre dentro adesso è scaturito dal ricordo di quell’odore dei bicchieri di colori che sceglievamo al mattino, appena arrivati a scuola dopo aver salutato la mamma. Più o meno tutti bicchieri uguali eppure c’era una logica rispetto alla verità dei colori, rispetto alla loro lunghezza: “dai, prendi un bicchiere e comincia a disegnare”, ma io non sono capace nemmeno ora.
Adesso dentro sento il sapore di un senso spietato di addio che c’entra poco con quel saluto ma che me ne ricorda certi altri dei quali poi fuggo il ricordo ben chiaro, per difesa. Ed allora, al massimo, posso difendermi tollerando l’idea della lontananza che si prova nell’ultimo giorno di scuola, quando sai che tutto cambierà e che lascerai tutti.
E’ in quel momento, quando pregusti la lontananza e quel cambiamento, che la sindrome del bilancio veloce ti ammala. Capita anche cambiando lavoro, negli ultimi giorni, fosse pure di un cambio di sede.
A me capita in genere l’ultimo giorno dell’anno, in quel momento in cui ognuno crede di dover far bilanci: in quei momenti si può sentire chiarissimo che il tempo scorre, corre e che sarebbe necessario sintetizzare tutto in poche parole o magari, se poi esistesse, infilare tutto dentro ad una sola parola, una sola, un aggettivo, o magari un’espressione capace di riassumere quello che hai dentro, che ti contraddistingue e che non sai ne puoi spiegare.
Sta tutto lì, in quel non riuscire a catalizzare, è tutta lì la patologia della sindrome del bilancio veloce.

Ecco mi sembra di vedervi, affetti dalla mia stessa malattia: la gente ride, festeggia, che sia ultimo dell’anno oppure festa di scuola od un addio al lavoro. Oppure sulla banchina di una stazione o mentre allacciate il casco, pronti per partire: cercare poche e giuste parole.
Voi siete lì che pensate al tempo che corre ed al voler riassumere, mettere a posto, dire, salutare, dimostrare che avete capito tutto, sentito profondamente, vissuto davvero: è nel cercare le parole,  nell’esercizio di riordinare velocemente le idee che vi perderete, incurabilmente, e che sorridendo, senza spavento, lascerete poi che tutto sia, senza dir nulla, senza riuscire a riassumere.
Ed allora sarete guariti, anche se poi ricapiterà in futuro:
ma la leggerezza di quel lasciar correre tutto senza affanni è la guarigione dalla sindrome, perché medicina reale non esiste davvero. Lasciar correre tutto, abbandonando l’idea delle parole più giuste e del bilancio veloce.
La leggerezza per il sentirsi consapevoli di aver fatto bene, senza rimorsi ne rimpianti, di aver preso e lasciato qualcosa, in quel posto, nelle persone. La consapevolezza di non dover dir nulla per cementare meglio.

Ecco, giorni fa, come oggi, ho avuto la sindrome del bilancio veloce. Lì per lì non ho isolato nessuna consapevolezza e così ho cambiato stanza ed incarico senza dire niente.
La fortuna mi ha premiato, arrivando dal lato dal quale non l’avrei mai attesa.
La signora riccia dell’impresa pulizie ha riconosciuto le mie cose, riordinate qui alla nuova stanza.
I miei fogli appesi sul muro dietro la mia sedia, fra citazioni e frasi tutte mie, le mie cose disposte allineate sulla scrivania.
Quando poi ci siamo rivisti ho ripensato ai nostri discorsi brevi ed ai sorrisi assonnati della mattina, quando l’ufficio è ancora vuoto ed io bevo il primo caffè e lei lavora, mentre io sto impacciato in disparte cercando di spostare gli oggetti per lasciarla lavorare meglio.

“Sa?!?!?, ho visto la scrivania vuota di là e mi chiedevo dove fosse andato. Poi ho capito subito che si era trasferito qui.
Ho riconosciuto le sue cose da come le ha riordinate… Sa?!?!? io sono sempre curiosa delle sue frasi appese al muro, le leggo sempre”

E poi è arrossita, ed io ero felice e guarito.

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