Salinger, la densità e l’inconsistenza del tempo

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Così come ad un certo punto, non so bene quando, ho smesso di amare e cercare non so bene come di imitare Salinger, non so bene come e quando sia passato il tempo.

Si dilata, si restringe, assurge ad infinito. Nei 40’ di una partita di pallacanestro, nel singolo minuto di un timeout, nei 24” secondi di una azione, in un secondo di riflessione scatenata da una immagine, da uno sguardo, in 15’ che precedono la riunione di lavoro, avviati dall’avviso del calendario elettronico: quanto è contenuto in quel tempo, di cosa è fatto, quanto potrò portarmene via, condensare, ricordare?

Non so bene quando ma le mie figlie sono già cresciute: ho scoperto quanto infinito c’è nelle frazioni più minute di tempo, di giorno.
Le loro espressioni più consapevoli, la loro mimica facciale evoluta ora mi dimostra ancor più il loro carattere delineato, non ancora maturato nel senso oscuro e brutto del termine, a causa dell’esperienza del vissuto.
Ora sono loro, ancora pure, non traviate da un indirizzo educativo e sociale, non ancora mascherate dietro convenzioni e convinzioni indotte fosse anche dallo studio od  appunto dall’esperienza. Mi appassiona guardarle essere così come sono, rimanere nel dubbio di procedere ad educare avendo chiaro che di fatto coinciderebbe con inoculare il veleno della mia singola esperienza e non della giustezza, della verità che di fatto nessuno conosce. Mi rifugio nei libri dei saggi, nelle notizie oltre confine, nella buone pratiche per il clima ed il benessere sociale portate avanti dalle democrazie del nord Europa. Continua a leggere….

Musica brutta

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Pallacanestro, prima che tutto cominci

Pallacanestro, prima che tutto cominci

 

Quanto è brutta la musica suonata a folle volume mentre io sono lì che raccolgo le mie cose e la gente è festosa attorno.

gli altoparlanti gracchiano e le risa si uniscono a quei suoni distorti mentre tutto sempre scombussolato, mescolato. Quelle canzoni che tante volte mi sono sembrate belle, che ho cantato in macchina, felice, adesso mi sembrano così brutte e volgari mentre sono chinato a rassettare lo zaino, a ripulire per bene la mia lavagnetta.

Stringo le mani, saluto, faccio i complimenti di rito schivando i ragazzini che in genere poi invadono il campo, mi guardo attorno senza girare la testa, sorrido o strizzo l’occhio ai miei, guardo verso gli spalti: qualcosa a loro devo sempre e comunque e ci vado col sorriso, ringraziando, scusandomi come stasera, stringendo sempre la loro mano.

Non vorrei mai dimenticare nessuno, a parte me, in quei momenti. Davvero, sono mai state così brutte quelle canzoni?

Che fine hanno fatto i nostri intenti, le nostre tattiche, tutto il lavoro, i sacrifici delle settimane di allenamento, gli sforzi, le notti dormite poche ore, i piani allenamento scritti sul treno, i libri in inglese degli allenatori americani?

Mi assale violenta la scorsa settimana di lavoro, le cose da fare, arretrate a casa, piccolo rifugio, penso alle mie figlie e sorrido un po.

Adesso nulla ritorna, nessun ragionamento: schivo bambini festanti ed urlanti, do qualche pacca ai miei giocatori: qualcosa farò, ma non so ancora bene cosa. Stringo in ultimo ls mano agli arbitri, ringrazio come sempre e ritiro la mia copia del referto. Giallo fa schifo, lo so da sempre e penso che fu bello alla mia prima partita ottenerne, invece, uno rosa.

Penso al lavoro ch c’è da fare, che una serata come questa non ci voleva, che però ne ho superate tante, che capitano, ma non mi rincuora niente ed ho davanti solo l’autostrada per il ritorno a casa dalla lunga trasferta, le ore insonni a ragionare su che diavolo mai avrei potuto fare, poi il treno per tornare a casa, la mattina fredda in motorino verso la stazione. Ho davanti solo ore da solo, qualche canzone in cuffia e del lavoro che non saprò ancora bene come tirar fuori dagli appunti che ho già steso fra mente ed agenda.

Tempus fugit, amor manet

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Noi 3

Stamattina facevo il fumo dal naso respirando.

Lungo la piccola strada troviamo gli alberi umidi, con la corteggia inverdita dal muschio sul lato della strada dalla quale evidentemente prendono poco sole; c’è un albero cavo, ha un buco perfetto e tondo dove crediamo davvero sia nascosto ora un cane, ora un gatto ma mai un picchio come invece la mia mente di vecchio bambino, scontata, arrugginita si aspetterebbe.

Il gatto intanto, incontrato davvero, lo abbiamo visto scappare poco prima sull’erba imbiancata da rugiada e gelo.

Beatrice  si è fatta togliere la giacca appena fuori dalla porta del corridoio delle classi, poi mi ha baciato sulla guancia e mi ha abbracciato stretto sorridendo sorniona. Matilde allora è tornata indietro pochi passi per far finta di rubarmi il naso così che poi, le ho ricordato, me lo avrebbe dovuto restituire oggi pomeriggio, tornando. Continua a leggere….

Ucraina, Palestina: papà ma tu lo sapevi?

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Ci chiediamo spesso cosa dicessero o facessero i tedeschi civili, intesi come non militari ma anche come umani, civilizzati nei modi, durante la secondo guerra mondiale, nel mezzo dell’olocausto.
Chiunque si è chiesto cosa dicessero i civili dei paesi coinvolti in quell’orrore e quelli non coinvolti, cosa dicessero o facessero quando si seppe dei lager, con chiarezza, sebbene in città la deportazione era stata vista, denunciata, appoggiata, combattuta da pochi così che non si potesse dire di non sapere.

Ecco, ma noi oggi che di certo sapiamo meglio tutto anche sulla scorta di quegli orrori, cosa stiamo dicendo, cosa stiamo facendo ?
Da 2 anni la Russia ha invaso l’Ucraina, da settimane Israele ha invaso la striscia di Gaza. Continua a leggere….

Sassi in regalo

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Beatrice mi regala i sassi più belli od almeno quelli che per lei lo sono.

Li tengo in tasca gelosamente, ritrovandoli poi quando metto a lavare i pantaloni, quando cerco le chiavi dell’auto nelle tasche, dove poso il ferma soldi alla sera, sulla mensola. Li conservo, glieli mostro orgoglioso e lei mi sorride: mi piace dimostrarle di averla intesa, di averle dato importanza e conservato quanto di importante per lei.

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