Laos, Luang Prabang

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cascata kuan xi

Il Laos si mostra subito diverso dal Vietnam. Me lo dicono le facce delle persone, i ritmi più lenti, i suoni soffusi delle loro voci ed il poco ed educato traffico.
Questa città è patrimonio Unesco e conta più di 100 templi buddisti.
Il fiume Mekong riempie ľorizzonte, è scuro, cupo e pare pensieroso, arrabbiato con se stesso. La stagione è quella delle piogge e l’ acqua marrone ed oleosa scorre fluida, ha mulinelli che impegnano le piccole e lunghe barche dei pescatori, barche che non azzardano ad occupare il filone per via delle correnti.

Ho contrattato un giro, risalendo il fiume e poi tornando indietro, tutto nel silenzio e nella splendida desolazione di un paesaggio monotono eppure attraente.
Qui la vita è pesca sul fiume, silenzio eccetto che per le sole parole che bastano, osservazione della vita dei monaci e paesaggi, possibilità di isolamento.
Affittando un motorino per ľequivalente di 15 euro al giorno ci si può allontanare 30 o 40 km e raggiungere splendide cascate, grotte che nascondono statue di Buddha,  piccoli villaggi rurali. Il vero pericolo non sono le strade polverose o le direzioni sconosciute quanto il turismo che fa fiorire insulse agenzie di viaggio che propongono sciapi tour che prevedono giri a dorso di elefante o trasferimenti in minibus per coprire distanze che si potrebbero coprire a piedi.
Una bicicletta per girare la città piccola e densa di templi, un motorino per scoprire risaie terrazzate e  bufali lungo la strada, villaggi di gente seminuda, di bimbi sporchi e felici, di anziane che si lavano in una tinozza a bordo strada.
8 km di cammino dentro al parco con gli orsi, su per le cascate di Kuan Si (Attenzione perché ci sono anche quelle di Kuan Xi e le mappe, purtroppo, a volte riportano una in una posizione, a volte l’altra) dove è possibile fare il bagno e poi su, sulla montagna che impenna ripida, dietro al salto delľ acqua: camminare da soli fra i suoni della giungla che ora si accende, ora si fa silenziosa.  Piccoli sentieri, fiumi che nutrono la cascata, su fino alle sorgenti.
Niente di più che una direzione poco chiara, una meta da definire, un fiume da risalire. Insetti, poi verde forte e scrosci ďacqua.
C’è una bellezza nella vita qui, una serenità suggerita dal posto che convince da subito a rimanere più giorni. C’è speranza nella cerimonia dell’elemosina, alle 5.30 del mattino quando i monaci scendono in paese e ci si inginocchia in terra per offrire cibo: tutti possono partecipare acquistando riso ed altro da esperte donne che aspettano a bordo strada disponendo delle stuoie in terra. Mi sarebbe piaciuto che la gente fosse più rispettosa e che ľevento fosse meno turisticizzato. È bastato però aspettare il primo passaggio per rimanere con i laotiani e nuove schiere di monaci che passavano alla stessa maniera di poco prima ma senza il degrado della curiosità dei turisti.

C’è un punto quaggiù dove il Khan si innesta nel Mekong, dove ľacqua si rabbuia e la sede si allarga. Puoi guardare allargando lo sguardo fino ai templi sull’altra sponda e perderlo a guardare le barche che sfidano la corrente, le reti dei pescatori, le trappole per i piccoli gamberetti. Quello è un tratto buono per pensare, per riassumere e dosare, ricordare o progettare.
Ho parlato col pescatore della barca, dal motore lento, lento come un cuore che batte a riposo: mi ha detto che da qui partono barche dirette in Thailandia e che il tragitto dura 2 giorni di navigazione.
Non ora, ma ho intenzione di farlo, di discendere il Mekong come avevo già pensato anni fa.

Ho rimediato una scottatura guidando il motorino e la bici: senza repellente per le zanzare e senza protezione solare non è il caso di muoversi anche quando il sole pare nascosto dietro nuvoloni grigi.
Fa caldo e praticamente ogni mattina esplodono temporali rumorosi che gonfiano il cielo per poi lasciare posto al sole verso le 8.
Le persone sono gentili e parlano un inglese pieno di difetti di pronuncia così forti da confondere le parole, un inglese fatto di teste che annuiscono anche quando chiedi una indicazione alla quale non sanno dare seguito o quando non hanno capito niente di quello che chiedi. Ma non importa, loro non lo sanno e credono sia abbastanza. Forse non sanno sentirsi inadeguati, forse non combattono per affermarsi ed hanno capito cosa serve davvero.

 
  

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