Disgusto

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disgusted

Nonostante mi sforzi di giustificarli non riesco a comprenderli e meno che mai, quindi, a giustificarli.

Coerenza e prima ancora logica: ma non per loro.
Sono circondato: almeno in numero hanno vinto.

Criticano la politica e fanno del qualunquismo la loro ragione unica di vita, il topos del chicchiericcio da spiaggia,  da fila all’ufficio postale: accusano di ruberia, di aver sottratto all’Italia un benessere ed uno stato di cose che ora non c’è più, un benessere percepito in termini di fratellanza, giustizia, meritocrazia.
“Tutti a casa sti politici”

Poi però, e qui sta il punto dolente, hanno un amico che li aiuta, un parente che li sostiene, uno bene inserito che gli fa scavalcare posizioni, code, regole. Che siano avvocati, notai o direttori di banca: non importa loro se ne avvalgono per avvantaggiarsi, loro intrallazzano per amicizie contingenti.

“Ma vabbè”, dicono, “che c’entra?” C’entra tutto: è esattamente quello che vai criticando e che poi commetti.

Ma loro, suffragette e paladini della giustizia, perdono tempo a condividere su Facebook, a cliccare mi piace senza compiere una vera operazione per fare davvero, cambiare qualcosa. Cliccano senza mai avere sul serio il coraggio di cambiare qualcosa, partendo da loro stessi.

Così vanno in ansia, chiedono consigli, portano avanti il mal comune mezzo gaudio finché poi non succede qualcosa che li sistema o li tranquillizza: allora se ne fregano degli altri anche se vicini. Tutelati loro, stop, va bene così. Non si rendono conto che si lagnano con chi sta peggio di loro e che lavora semplicemente e senza pianti, senza cercare di avvantaggiarsi in maniera arrivista.

“Perché tu che avresti fatto?” Intanto lo hai fatto tu, non io. Poi che scusante sarebbe? un accusa aprioristica?

La loro cecità mi disgusta, la loro grettezza mi degrada. Mi disturba il loro non riuscire a capire, vedere che non sono coerenti, che compiono ciò che criticano. Mi avvelena la loro inesistente onestà intellettuale che non li fa desistere dal cercare, se ingiusto, il loro bene a prescindere.

Sono dei poveri, degli ignoranti trincerati dietro a strutture di religioni a corporativismi mascherati da professionalità. Io li guardo ogni giorno mentre in affanno cerco di consolidare un futuro, cercando anche lavoro in Finlandia. Li osservo con schifo, lo ammetto, e mi sento migliore perché so che non ci arrivano, che davvero non capiscono e che la loro è una cieca cultura didascalica.

Non capisco, non voglio capire: mi rifiuto di adeguarmi.
Fori moda, utopista, perbenista: sono l’accusa che preferite, ma quel che mi conviene non coincide con quello che faccio se l’azione, il pensiero, il beneficio ottenuto, non è corretto, non è coerente

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