Tornei, sabati. 

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Sono le 4.30, il parcheggio è vuoto ed una sigaretta, fumata a bocca asciutta, mi penzola dalle labbra. 

Birra e gelato. Poi birra. I panini salsiccia e peroni, i gelati ad 1 euro per attrarre persone che poi non li comprano davvero, un basket proletario semplice e disperato.

La palestra piena di gente, il vociare di chi è là fuori, i gridolini di chi non ha mai visto nemmeno un canestro, figuriamoci tutte queste partite in una sola notte.

Chi non ci sta a perdere, qualche gomitata, i non arbitri, le partite vere che mi mancano e che appena parte la musica del riscaldamento mi fanno sentire bene.

Poi gli uccelli già svegli sugli alberi della mia via, rientrando a casa, un ricordo tagliente, la faccia impassibile da pesce, riflessa nello retrovisore centrale. Gian dorme, almeno a quest’ora. e mi sento più svuotato che stanco perché non posso chiamarlo per citare chissà che film. Continua a leggere….

Tic

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ossessivo compulsivo

In metro, seduto difronte ad una signora con un meraviglioso tic : allunga il viso come per estremo stupore, poi diventa seria, scrolla le spalle come per un brivido di freddo lungo la schiena e sorride.

Starei ore a guardarla, torturandomi la barba, offrendole simile materiale per essere curiosa.

Rifugiarsi

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Si erano rifugiati nelle loro vite.

Lui, lei, senza dirlo ne farlo consapevolmente.

Chiuso nel bavero, al ritorno dal lavoro, sbadigliava nella pancia del serpente di ferro.
Il metrò serpeggiava fra le curve della galleria così come i suoi pensieri, da ascoltare fra se e se col sottofondo dell’ennesimo violino gracchiante: l’ambulante di turno.

Rassicurante, questo pensava. Era rassicurante essere organizzati, ordinati: il lavoro, le scarpe, la casa, il “da fare”.

Organizzare lo costringeva a fare, lo impegnava ed in qualche maniera riusciva a farlo sentire svanito, come con un vino forte, che acceca di forza, che regala una falsa amnesia.
Non pensare: facendo, organizzando.
Alla fine la sua vita era perfetta, pensava; organizzata appunto, impegnata. Non mancava niente, nessuno, se non se stesso, quello vero.

Bugie, come al solito, come era abituato a dire, senza alcun bisogno, come quasi a doversi tenere allenato. Bugie a prescindere, anche a colleghi, rispetto alla sera prima, al pomeriggio ed il da fare fuori d’ufficio. Senza motivo, per non dare riferimenti, ragioni, o forse davvero per allenarsi all’infrastruttura della bugia, alle correlazioni di cui le bugie hanno bisogno per stare in piedi.
Mentirsi  però durava qualche ora, forse giorni, per poi tornare a tormentare. Si sorprendeva a mormorare parole improvvisate quando un pensiero capace di metterlo a disagio lo coglieva.
Continua a leggere….


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