Shanghai: i primi veri passi in città

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La mattina è pigra e grosse nuvole grigie passano veloci fra i grattacieli che osservo dalla finestra.

Alle 8 ero in piedi ma sveglio da un bel po’; uno stato di curiosità mista al gran numero di cose che vorrei, vedrei, dovrei mangiare, dire, fare. In realtà il tempo e lo spazio sono piuttosto limitati considerato che il primo è divorato dalla pioggia che ci costringe a rivedere i programmi ed il secondo da ritmi di cammino mediati dai passi fragili di mia madre, turista per forza di cose sprovveduta ma curiosa. In certe fasi mi fa tenerezza pensare come ad oggi i ruoli si siano invertiti e che ora è lei a seguire me, a rifugiarsi, a chiedere consiglio, a provare spunti di autonomia, che sono io a preparare la colazione, a chiedere se ha fame o sete, a preoccuparmi più in generale. Forse è vero che invecchiando si diventa bambini o che comunque ci si sente più fragili. Vederla armeggiare con le bacchette, mangiando, è divertente anche se le sue mani si sono fatte nodose dall’età: la vedo felice di questo viaggio e mi sento orgoglioso.

Ai giardini del Mandarino Yu la calca non è asfissiante ma gli spazi vitali stando in coda o camminando non sono affatto come li concepiamo noi occidentali: sudati a spesso malvestiti i cinesi si accalcano, pestano i piedi, spingono, inciampano, saltano la coda sentendosi furbi finendo per rendere poco tollerabile la processione che dal quartiere vecchio, su passerelle di legno sopra un lago artificiale zeppo di grasse carpe e pesanti pesci rossi, porta all’ingresso del giardino. Ben tenuto, storico, in pieno stile cinese meridionale il giardino privato del Mandarino è in realtà un parco con laghetti e fontane, costruzioni contemplative, piccole pagode e rocce coreografiche, con meno piante del previsto. Salici piangenti e bonsai in realtà non indimenticabili incorniciano scorci tipici mentre il chiacchiericcio dei turisti contrasta con quelle che credo fossero in origine la pace ed il rilassante rumore d’acqua di quelle strutture.

Nessuno, ma proprio nessuno parla una parola di inglese costringendoci a gesticolare più del solito, ad avventurarci in mirabolanti ordinazioni ai ristoranti, a rischiare la lite con ogni tassista che ostinatamente, anche dopo letto l’indirizzo in lingua locale sul nostro telefono si ostina a parlarci cinese lasciandoci nei dubbi più atroci: ci avrà portato dove doveva? Ci avrebbe voluto dire che il ristorante era chiuso? Perché beve da una borraccia che contiene dei fiori? C’è davvero bisogno di tutti quei cavi e di tutte quelle prese usb in auto? Che cazzo stanno dicendo da 10 minuti i messaggi vocali che continua ad ascoltare dal suo telefono? I tassisti meriterebbero un capitolo a parte, uno studio antropologico.

Il traffico scorre annoiato, interminabili semafori rossi sbarrano spesso la strada ma nessuno pare andare di fretta, innervosirsi, e c’è una sorta di rassegnazione soprattutto in certi orari della sera. La città non pare così irrespirabile anche rispetto all’inquinamento che invece, statisticamente, risulta molto alto. Forse il vento e la pioggia di questi giorni ha mediato effetti e sensazioni, forse qualcosa sta lentamente cambiando e le migliaia di motorini elettrici fanno la loro parte positiva anche se sono guidati da indisciplinati che procedono contro mano, se non facendo rumore risultano pericolosi mentre si attraversa la strada. Un misto di giovani e più anziani intenti in improbabili trasporti e continue consegne infestano ogni via e nelle più piccole, nei quartieri al margine delle grandi strade di negozi di lata moda ed hotel di lusso (Quartiere della Concessione francese e limitrofo), si riscopre l’Asia che più conosco con persone che dormono in strada, altre intente a raccogliere ed ammucchiare cartoni che saranno venduti, oppure altri che armeggiano com piccole cucine strada.

La giornata si chiude con una cena estenuante in termini di ordinazione: senza un menu con piatti illustrati e soprattutto senza indicazioni in inglese è necessario scegliere un posto tipo food court, self service così da capire meglio cosa si sta per mangiare. Perché l’anatra, per esempio, ci è arrivata totalmente fredda?

A conti fatti, considerato quanto fossero buoni, credo avremmo comunque ordinato i 36 ravioli: il posto trovato grazie alla mostra guida e l’applicazione Map.me, da fiori, non era così invitante e non sembrava a dirla tutta nemmeno un ristornate. Dalle piccole finestre però fumanti vaporiere in bambù lasciavano intravedere ravioli piuttosto cicciotti che poi abbiamo visto preparare al momento.

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