Adesso puoi andare a dormire

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mani

Così prima che tu vada a dormire è giusto che tu sappia cosa stavo pensando mentre la gente passava, entrava, usciva e non sapeva, mentre tutti vivevano normalmente la loro quotidianità ed io immaginavo la mia od almeno una parte.

Stavo pensando ad Aldous Huxley, al suo libro “le porte della percezione”, al significato intrinseco di quelle droghe che lo spinsero prima a provarle, poi ad ammalarsi a causa della ricerca di una motivazione, di una ragione: capire cosa ci fosse di irrinunciabile.

Ecco lui capì quello che io ho capito oggi nell’ipnosi delle traiettorie delle tue mani, gesticolando, delle tue unghie, nei tuoi colori, pelle e vestito. Tutto mi è sembrato colorato a pennello, un pennello a punta acuminata dalla tintura stessa, perfetto, senza peli in disordine, un colore così scuro ma attraente, fatto come di quella lacca colorata perfetta, stesa che pareva essere stata sempre li, liscia da volerci passare sopra i miei polpastrelli, la mia lingua, qualsiasi altro dei miei 5 sensi o forse tutti insieme.
Ecco così le porte della percezione mi si erano spalancate, chiarissime lasciandomi vedere l’ingresso di un fondo bellissimo, forme invitanti, colorate, non perfette in senso assoluto ma ammirevoli, notabili, attraenti al di là del corpo per un complicato non voluto ma ragionato distacco fisico, forme plasmate come non potessero esistere diverse, chiare lì davanti come non le avessi mai percepite così bene, così vicine. Così nel tuo gesticolare ci avevo visto un ingresso verso una percezione maggiore, una possibilità, una voluttà, chiarissima, immediata, così dirompente da lasciarmi incredulo a chiedermi se fosse stata sempre lì, se fosse stata sempre così chiara, se fosse davvero come la vedevo o se oltrepassate le porte della mia percezione io percepissi come faceva l’autore di quel libro le forme ed i colori in maniera tragicamente irrinunciabile.
Così tu sei la manifestazione parossistica di un malanno complicato, di una dipendenza inestricabile di un bisogno che ho di parlarti, vederti, raccontarti, di mescolare ricordi ed aneddoti, mio padre, musica e film, parole e citazioni, tante da temere di sembrare pieno di me, autoreferenziale quando poi l’intento è invece trasferire quello che ho imparato e non per il gusto di insegnare ma per il gusto maggiore di condividere ed inoculare una medicina che mi ha salvato, fatto star bene, fatto scoprire, senza però costringerti alla fatica di cercare una cura, di sperimentare altre medicine e via via selezionarle.
Ecco cosa pensavo guardandoti gesticolare, guardandoti le tue mani, i tuoi colori, quelle forme che conosco e che eppure scopro ancora ogni volta che parliamo.
Adesso puoi andare a dormire, lasciandomi così col dubbio di aver ancora esagerato, di aver fatto travisare, di avere una colpa.
Domani, ancora la mia medicina, domani ancora parole, forme, gesticolare, raccontare: io arrivo a vedere la forma delle parole che prendono forma dai fumetti della tua bocca, riesco a seguire i tondi perfetti delle tue lettere oppure a campionare il suono di certe tue particolari inflessioni, dialetto o no.
Ecco, adesso va a dormire, sono io che rimango sveglio ancora un po’.

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