Crescere

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La notizia mi ha raggiunto mentre ero con le mani sporche di grasso, intento nel niente di un pomeriggio di ferie.

Prendere ferie per niente di serio la dice lunga. Potrei non scrivere oltre.

Con mezzo sigaro toscano in bocca e la barba invasa dall’odore acre del fumo operavo la vespa per l’ennesima volta, senza successo.

Succhiare aria dalla cannuccia delle manifatture di Lucca, stringere un bullone, fantasticare sul prossimo giro in vespa e sul prossimo viaggio sembrava l’apoteosi dell’aspettativa di vita.

Stefano ha chiamato: è nata la figlia. Lo dico ora, anche se la notizia è di giorni fa.

Dopo Lorenzo, Giorgia.

Durante…anzi, mentre: questo è il concetto.

Nel mentre, io ero lì, con la mani sporche, Marco era su e giù per il sud Lazio, attaccato al telefono per lavoro , impazzendo sulle ragioni del mondo e della gente, affidandosi alle mie filosofie scritte e parlate, dispensate da sobrio e no.

Gianvincenzo era al lavoro, con i postumi di una serata in cui aveva bevuto da “professionista”, aggrappato al bancone del bar, cercando di resistere all’onda d’urto dei pensieri, orfano del suo compagno di naufragio di vita (IO) ma di certo bene accompagnato: Femmine vere, idealizzate, Loretta sempre lì dietro a pungolarlo, qualche altro buon amico.

Il mio telefono aveva squillato anche prima e non avevo risposto. Basket, convocazioni, il corso da fare, la prossima partita e la voglia di chiudermi al box: fumo e motori.

Ripensavo, nelle poche parole dette al microfono, alle parole di mio padre, a quelle sue rinunce per la famiglia, al suo quasi abbandono di se, della sua vita; tutto in virtò della scelta crescere e costruire una famiglia, una abnegazione reale.
Senza mai storcere il muso, senza mai ripensarci, almeno a parole.

Anche se ho sempre creduto che quel lasciarsi andare sul letto, la sera, fosse quello storcere il muso, quell’essere triste non confessato.
Nelle operazioni più volgari e pratiche, tipo mangiare e bere mi appariva  “accontentato” da troppo poco.

Mangiare, bere, dormire pareva  a volte bastassero.
Mi saliva la rabbia.
Un uomo così ricco di esperienze, parole a modo suo, come poteva essere accontentato da tanto lavoro, tanta famiglia, l’abbandono sereno nel letto alla sera, senza altro, senza volere almeno altro?

Ho continuato a martellarmi per anni.

Ora ho smesso anche se non conosco ancora la risposta.

Mentre Stefano era felice al telefono non ho saputo parlare.

Solo pensare: succhiando aria acidula, assaporando il fumo sul palato.

“Ciao Stef, si che vengo a trovarvi, certo”

Convinto che non sarei andato, senza motivo, stupito d’aver sentito i muscoli sciogliersi, le ossa riposare, riversato nel letto, sere prima, emulando senza volere mio padre, intento in un gesto che nasconde tanto altro. Altro che ancora non so dire.

In posizione fetale, abbandonarsi al letto rilasciando i muscoli del viso in una smorfia di assurda soddisfazione per nulla.

Se avesse senso per lui, se volesse dire accontentarsi, trincerarsi dietro primordiali soddisfazioni, non so  ancora dirlo.

So che ho pensato a crescere, senza successo come al solito.

Cresce, che significa poi? Il vocabolario,  che dice?

So che ho sentito di voler bene Marco e Gianvincenzo, di averli stimati più che mai, consapevole fossero simili a me, forse ancora troppo “ragazzo” rispetto a Stefano.

Mentre Stefano era felice, la moglie stanca e soddisfatta, i bimbi al loro posto…noi, eravamo dove e come ?

Mentre: questo il fottuto concetto.

Non importa, forse:  è vita la nostra, non solo decente, accettabile, ma ammirabile.

Solo diversa. Non giudico ne valuto loro,  nemmeno me stesso.

mi ha colpito quel mentre e gettato indietro pensare, avanti ad indagare.

Diverso, normale, mentre, durante.

Normale fa solo rima con comune (forse anche con omologato) .

 

Massimo

 

P.S. So che molti non afferreranno il nesso con l’immagine. Peccato, è la parte più bella e vale più di mille parole.

 

 

 

 

 

 

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