La storia della nostra India

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Il paesaggio cambia ancora.
Lasciando Jodhpur troviamo nuovamente verde intenso ed il deserto del Thar è alle nostre spalle.
Il nostro programma prevede una sosta al tempio della motocicletta, una sosta in un grande tempio giainista e l’arrivo ad Udaipur, ultima delle città dello stato del Rajasthan dove rimarremo due giorni.

Anche oggi abbiamo trovato strade malmesse e voler raggiungere il tempio gianista ci costa buche e buche, tratti di terra più o meno battuta.
Piove, il monsone fa capolino all’orizzonte e si annusa la pioggia che arriva. Colonne d’acqua scura scendono dal cielo, laggiù; penso alla moto, alle stesse sensazioni annusate dalle prese d’aria del casco.

Buchiamo lenti il muro d’acqua temendo per le buche ora nascoste dal fango e dall’acqua marrone: quanto saranno profonde?
Potremmo percorrere la nuova strada che scorre al fianco della attuale e che non è che ad inizio lavori, sarebbe meglio, ma c’è da salire un gradino di terra troppo alto per la nostra macchina.
Così andiamo lenti, incrociando donne con cesti di erba sulla testa, donne che trasportano verdure, piccole cittadelle che non sono altro che avamposti delle società che dicono di lavorare alla costruzione della strade.

Fa strano come nel niente e nella estrema semplicità dei lavori manuali di costruzione spicchino muri dipinti con loghi di grosse case di lubrificanti o compagnie telefoniche: evidentemente qualcuno ha creduto nelle possibilità di crescita di questo paese.
Così capita di vedere il rosso di Vodafone su un muro scalcinato, al fianco di mucche e maialini che rovistano nello scolo della fognatura improvvisata.

Dove è finito il colonialismo ? Dove sono gli effetti di quegli anni inglesi? Viaggiando pare che gli inglesi abbiamo lasciato solo la guida a sinistra, la lingua, l’uso di impeccabili uniformi scolastiche e nient’altro, sopratutto a livello di educazione civile, di costruzione delle infrastrutture, dei semplici modi di fare.

Adesso è più chiaro, adesso l’India ha un sapore, una ragione ed un colore differente. Adesso che ci siamo dentro da qualche giorno qualcosa prende forma, dentro di noi.
Dal suo anno zero ad oggi il paese ha attraversato, prima della colonizzazione, invasioni e guerre sante che hanno distrutto modi, vite, templi.

Gli unni prima, i turchi, i musulmani, gli arabi, per una guerra santa o per fame di territori si sono spinti fin qui cancellando la prima India.
Gli stessi Rajput, dinastia Indiana, sono giunti qui in Rajasthan dal Punjab per sfuggire alla furia degli invasori arabi.
Giunti qui in Rajasthan, pur appartenendo a caste induiste di rango inferiore, con la forza, hanno cambiato il loro status divenendo sedicenti illuminati, figli del sole: una giustificazione mistica per il salto di casta.
Rinnegando la loro realtà genealogica e proclamandosi della casta guerriera, seconda solo ai sacerdoti ( Bramini), riuscirono ad imporsi ed a creare una suddivisone del territorio in aree che divennero via via fortificate: le stesse aree di cui vi ho scritto in questi giorni, le aree dove sorgono i meravigliosi forti oggi visitabili e dove, negli anni, si sono succeduti i vari Maharaja, a volte in guerra fra loro.
Talmente in guerra, anche se per piccole contese, da non accorgersi della pericolosità dell’invasione araba: inevitabili le sconfitte e la miscela di usi e costumi di cui, ancora oggi, sono riconoscibili i segni e le architetture.

Gli inglesi arrivarono anni dopo, dopo il dominio Mogul di cui però non so dirvi altro che non sia quanto ho saputo al tempio Sikh: terribili torture per costringere induisti e sikh alla conversione religiosa; torture di cui si trova traccia in dipinti vari.
Gli inglesi arrivarono dopo le rotte di Vasco da Gama, se non ricordo male le letture nel 1498, e non si curarono di spodestare i Maharaja ma di lasciarli al potere pur assoggettandoli, appoggiandoli misuratamente per poter portare avanti, nel frattempo i commerci di quella che veniva appunto chiamata la “compagnia delle indie”.
L’indipendenza indiana invece, del tutto merito della grande anima ( Mahatma) Gandhi, ci sarà solo nel vicinissimo, per noi, 1947 !
I Maharaja declinarono pian piano trasformandosi da regnanti a ricchi uomini che dovevano pagare tasse e giustificare il possesso di beni di lusso.
Alcuni si lasciarono andare al cambiamento, altri resistettero, con l’incredibile favore del popolo, per altri anni. Altri ancora presero a viaggiare sperperando denaro mentre, venendo ai giorni nostri, altri sono divenuti manager di musei o di palazzi reali trasformati in hotel dove è possibile soggiornare a prezzi per noi accettabili.

Ora tutto ha un filo logico, ricostruito viaggiando, leggendo, guardando quadri, parlando di religioni, con le persone incontrate, nei villaggi, nelle città, nei musei.
A poco sono servite le audioguide o veri e propri libri anche se ammetto che la ricostruzione potrà sembrare imprecisa e, lo riconosco, piuttosto grossolana.
Questa è la storia che preferisco, quella raccontata, vissuta guardando.

Ora l’India per noi ha un filo logico differente e delle ragioni differenti: forse, nel modo di essere di vivere degli Indiani, c’è un rifiuto per anni di colonialismo, un rifiuto per l’organizzazione a causa della distruzione patita per centinaia di anni.

Forse la vera India  è quella radicata nelle persone, anche odierne: una nazione naturale, primordiale, incentrata non su necessità e bisogni ma sulla consapevolezza che quello che la natura offre può bastare.
Ecco perché quella religione, ecco perché idoli e riti così chiari e semplici, ecco perché vivere in strada, mangiare solo il giusto, solo quello che la terra, non piegata la volere dell’uomo fosse solo per agricoltura od irrigazione, offre.

Forse l’avvento del motore, della tecnologia, della plastica, della telefonia e di tutto quello che non è appunto primordiale e naturale è ingestibile: ecco le ragioni di tanta sporcizia e disorganizzazione : è come se questo paese non ricevesse, rifiutasse quello che non è suo, ciò che non è della sua propria natura.

L’India è grande e non è esattamente una nazione ma forse un continente: trovare ora le ragioni vere, capire per aver visto è ancora difficile.
Ma questo fin qui ho visto, questo ho capito, di questo vi ho scritto cercando di spiegare, raccontare, coinvolgere.

Vado a cena, più tardi o forse domani, volando verso Delhi metterò su “carta” qualcosa di questi due giorni qui ad Udaipur.

Massimo

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