Kuching, Semenggoh Park

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Il Semenggoh Park è una piccola riserva che dista 30′ di macchina dalla città. Gli oranghi vivono totalmente liberi e non esistono gabbie, recinzioni di sorta. Pagato il biglietto di 10 myr si accede ad una piazza circondata da alberi dove per due volte al giorno è facilissimo imbattersi negli oranghi. Alle 9 ed alle 15 i guardaparco nutrono gli oranghi dando loro della frutta che li aiuta a superare la stagione nella quale la giungla offre meno cibo. Va inoltre considerato che non tutti gli oranghi sarebbero in grado di sopravvivere visto che alcuni sono nati li e che quindi sono meno esperti nel procacciaresi cibo: a rischio estinzione sono qui per essere sostenuti e per essere aiutati nella riproduzione. Siamo stati fortunati ad aver incontrato Richie, il boss, il capo. Ci hanno spiegato che a volte per settimane non si mostra e che essendo il più anziano fra gli oranghi è considerato il loro capo: burbero e geloso si batte con gli altri se qualcuno si avvicina alla sua femmina. Legenda del tassista narra che una volta un guardaparco abbia trovato un orango smembrato e che il tutto fosse successo proprio a causa di una lite fra Richie ed il malcapitato di turno.

La visita al parco non include camminata ne guide ma la sola permanenza nella piazza ricavata fra gli alberi dove le guide attirano gli oranghi facendo dei versi e battendo le noci di cocco sui tronchi: procedura che il buon Richie ha poi messo in opera in diretta spaccando una noce di cocco in un solo colpo, mostrando tutta la sua forza.

Sono incredibili quelle movenze e quegli atteggiamenti umani tenuti da un corpo così diverso dal nostro: i molti turisti sono rimasti ammutoliti da quei piedi prensili, da quella braccia così lunghe, i pochi oranghi, ne sono certo, sono rimasti invece delusi da certi rumori idioti e da certi gridolini di alcuni di noi altri.

Dopo averne letto molto sulle guide e su web posso dire per certo che ne vale la pena anche se non è possibile camminare da soli percorrendo i sentieri proprio perché incontrando gli oranghi si sarebbe esposti a situazioni pericolose: tutto sommato senza recinzioni il pericolo è comunque percettibile vista l’imprevedibilità degli animali e considerata la loro forza; fino a qualche anno fa, diceva il tassista, era imvece permesso fare trekking in quell’area.  Che Richie se la sia presa con qualche turista ?

Solito consiglio: portate da bere, tanto, perché fa caldo e perché quando si assaggia il clima della giungla si ha a che fare con umidità altissima. Santissima la 100+, bevanda limonata, simile gatorade: qui ne consumiamo litri al giorno: economica e dissetante, non troppo dolce, vi salverà da arsura, diarrea causa perdita di troppi sali, ricerca di acqua veramente dissetante (qui pare finta!)

La visita dura 1 ora circa, munitevi di obiettivi con zoom seri e cercare di fare poco rumore: i visitatori sono tanti e spesso proprio rimanendo più in disparte si riesce a vedere più da vicino gli oranghi. Occorre arrivare in realtà prima dell’inizio della distribuzione cibo perché gli oranghi si avvicinano o meno secondo quanto loro stessi decidono: più o meno sono abitudinari ma arrivare una mezzora prima non guasta mai. Oggi ad esempio gli oranghi sono arrivati alle 14.30 mentre alle 15.15 un acquazzone ha cacciato via turisti ed oranghi: fossimo arrivati alle 15 come previsto, come da orario stabilito, Richie ci avrebbe dato buca!

Domani il Bako Park dove speriamo di incontrare scimmie nasica, maiali barbuti ed altro ancora: 7 ore di trekking stavolta senza guida e spero senza folla. Il tassita, rimediato per strada in barba alle organizzate ma furbette agenzie di viaggio presenti in zona, per 100 myr (23€) oggi ha fatto servizio di andata e ritorno al parco evitandoci di prendere il bus e soprattutto di fare a piedi una strada di circa 1,5 km inutili, in salita: una strada asfaltata e vuota che considerato il caldo estremo di oggi non ha proprio senso fare.

In città si trova tutto per le escursioni e basta un po di contrattazione per spuntare prezzi migliori di quelli offerti da hotel, agenzie di viaggio che spesso inseriscono nel pacchetto inutili opzioni, o da tassisti che in prima battuta chiedono più soldi. Quasi tutto si può organizzare da soli, basta arrangiarsi, prendere un bus, camminare un po, oppure contrattare un taxi, saper organizzare uno zaino con qualche provvista e gadget vari. In generale con un un po di inglese si spuntano ottimi servizi, prezzi irrisori e si salva tanto tempo.

Kuching è un avamposto per le escursioni: direi che servono 3 notti nonostante in città ci sia davvero poco da visitare. Fanno eccezione i pochi templi cinesi che definirei trascurabili visto che in Asia ce ne sono a centinaia e che non sono mai troppo esclusivi né artistici ma piuttosto kitsch, qualche orrenda statua raffigurante gatti (kuching in malese significa appunto gatto) e le passeggiate lungo il fiume fra artisti di strada stonati, qualche scorcio degno di nota e romantiche crociere sul fiume, al tramonto: sul tema direi di evitare i battelli più grandi e di prendere invece le economiche e più autentiche barchette in legno: 1 ora di navigazione per 19 myr a testa, circa 4,5 euro.

Il motivo dei 2/3 giorni sta appunto nel fatto che ci sono il parco degli oranghi e il Bako Park da visitare, due escursioni NON abbinabili nello stesso giorno.

Il mio cappello da esploratore funziona alla grande, traspira e protegge oltre a darmi un tono considerevole. Ho scattato una foto per caso, armeggiando con la Gopro: forse è l’unica che mi piace davvero perché è senza posa, perché mi ha catturato mentre a naso in su curioso indagando gli alberi, sudando e cercando oranghi.

Se è vero che gli occhiali, come gli amici, danno un aria intelligente, è altrettanto vero che un capello come questo fa sentire veri esploratori e che fornisce indubbiamente una maggiore competenza in ambito naturalistico.

Questo è un cappello che fa capire e scoprire cose.

massimo soldini, viaggio borneo, cappello

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