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bar via Magenta, Roma (foto da google maps)

bar via Magenta, Roma (foto da Google maps)

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Oggi ho ordinato un caffè commosso, un caffè che è diverso da quello macchiato, da quello corretto.

Si, perché al bar era l’ultimo giorno.
Così ho fatto colazione pure se l’avevo già fatta a casa, tanto per salutare tutti con poche parole.
La vecchia signora alla cassa m’ha sorriso come al solito e m’ha chiesto se sapessi che sarebbe stato l’ultimo giorno.
” e lo so sì signò!” Forse stamattina ho tardato ad uscire da casa anche per questo.
Ho risposto di si e parlato per poco, per dire che a volte un cambiamento, per quanto difficile, è necessario, che ci vuole coraggio, che lo so, perché ci sono passato.
Le ho detto che li ammiro e le ho augurato buona fortuna mentre gli occhi si lucidavano e continuavamo a guardarci da un lato all’altro del bancone.
Stupiti tutti e 4 (madre, padre e figlio, la famiglia di gestori), del rapporto che s’era creato senza che nessuno sapesse molto dell’altro siamo riusciti a dirci poco ma sono sicuro a capirci molto.

Impacchettare, ordinare, chiudere, andare: significa avere appunto coraggio, resistere agli attacchi di rabbia, sconforto, all’orda dei ricordi che sembrano tessere impazzite di un mosaico che consoci, di un’immagine in quel momento impossibile da fissare: giorno per giorno,la tua vita.

Come al solito il bar è teatro di ricordi.
Pure stavolta se ne va un pezzo di Roma com’era una volta, di Roma come ce la ricordiamo noi figli di mignotta innamorati .

“Bòna fortuna!”, e sono uscito senza girarmi più.

 


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