ChiAmami

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Oggi ho pensato che non ho un nome, che tu non hai bisogno di chiamarmi perché ti giri e mi scopri attento.
Ti guardo per un bisogno complicato, per una gioia e la sua voglia: così osservo le tue dita che indagano lente le parole di un libro, ascolto il mormorio arrotondato della tua lettura, mi agito seguendo la tua lingua che salta sul palato mentre parli.

Seguo attento la scia delle unghie colorate, la traiettoria dei tuoi piedi mentre senza saperlo ti muovi calpestando noncurante le linee delle fughe fra le piastrelle, quei confini che da bambino dovevo saltare e mai calpestare per via di una logica e di una paura che ancora oggi non riesco a rinnegare.
Ecco, vorrei essere come te, non accorgermi dei limiti ed andare. Continua a leggere….

Attese

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Goodbye train

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Poi il cielo s’era rotto col fragore d’un tuono che se non fosse stato venerdì pomeriggio avrebbe fatto di certo un rumore diverso.

Il cielo aveva colato giù tutta la frustrazione che il vento lento e caldo gli aveva portato nei giorni prima.

Roma gli era sembrata disperata, svuotata, e s’era rifugiato sotto le tettoie fra i binari della stazione che poi lo si sapeva già, non riparavano un cazzo e la pioggia tiepida continuava a pizzicarlo sul viso come fosse fatta di spilli.

Il tabellone se ne stava li a decidere il destino di ognuno senza capire che quelle cifre per le persone avrebbero significato molto più che per lui che comunque va compreso perché non si riposa mai.

Ma voi ci avete mai fatto caso alle traiettorie che percorre la gente in trascinando la valigia? Certe volte aveva creduto che facessero quei giri tutti storti tanto per farsi vedere da lui, tanto per trasmettergli l’ansia del treno che parte e di loro affannati che con un filo di voce e scarsissima logica mormorano qualcosa tipo “aspettate”.

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Top 5! Cose che mi piacerebbe scrivere (ora)

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Virginiana Miller, la verità sul tennis

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Veloce veloce, tanto per risvegliare la categoria delle Top 5, ecco le 5 cose che mi piacerebbe scrivere ora:

  1. Un pezzo sul mais, in particolare sulle pannocchie ed il loro meraviglioso ordine, la loro precisione, la loro velocità di cresce. Passerei per concetti storici, colonizzazione, discorsi etici per arrivare infine a bellissime pannocchie che si arrostiscono sulla graticola. Poi chiuderei con foto che mostrano il loro colore, le loro forme perfette, quella sorta di alveare che la natura costruisce senza errori.
  2. La verità sul tennis: una durissima reprimenda su alcuni concetti dello sport ed in particolare sul tennis e sul nuoto. In omaggio ma non solo all’omonimo album dei Virginiana Miller
  3. Un nuovo capitolo di “Dell’utopico stato” che era un libretto che avevo cominciato a scrivere quando avevo più capelli e che un giorno non ricordo perché ho buttato via mentre ero pieno di rabbia, distruggendo tutto il lavoro. Ma tanto mi ricordo tutto.
  4. La frase “mai dire mai è una scusa del cazzo!”, bella grossa, su un muro. Ma non so ancora il colore e quindi rimando.
  5. Un racconto ambientato a Lucca che parla di me che vado in bicicletta e nel quale poi userei la foto di me che vado in bicicletta in Laos, quella col cappello ed una faccia un po’ schifata senza motivo reale.

 

P.S. Il film Alta fedeltà dal quale deriva questa categoria delle top 5 è meraviglioso. Guardatelo, inetti.

Mulu Park

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strada verso mulu

Se vi foste mai chiesti come fosse la terra ai suoi albori sappiate che la risposta neppure troppo celata è qui al Mulu park.

Mulu non è una città, Mulu non esiste.
Una pista di atterraggio che ricorda quelle allestite a Keh San, in Vietnam durante la guerra, si staglia nel verde brillante di una foltissima giungla. Una lingua di asfalto per piloti espertissimi dove piccoli e rumorosi aerei bi-elica fanno manovra per prendere la rincorsa utile al decollo o per invertire la direzione una volta arrivati, per far scendere passeggeri e bagagli. Un’unica sala accoglie zaini e provetti esploratori inclusi, in questo caso, un gruppo di documentaristi inglesi. con al seguito centinaia di kg di attrezzature.
Da li in poi si prosegue solo per il parco: il resto è imperscrutabile vegetazione, canicola, orizzonte tremolante causa calore che risale da terra.
Niente cartelli, niente taxi, niente bus, nessun villaggio, neppure piccolo: solo un’operosa comunità di piccoli e scuri malesi che offre per 5 myr (1 euro circa) il trasporto fino all’ingresso del parco.
Lungo l’improvvisata strada, lungo il falsopiano che serpeggia verso l’ingresso di quello che parrebbe un parco giochi per esploratori si possono trovare alloggi offerti dai pochi abitanti di quelle aree: per lo più palafitte sul fiume che pare prendere aria appena uscito dalla fitta giungla. E’ possibile altrimenti trovare alloggio nei bungalow invero più dotati ma comunque privi di veri comfort, sistemati appena dentro l’ingresso del parco.

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