Semafori

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Nel caldo della mattinata, fermo alle strisce pedonali gli era sembrato di assistere all’inizio di un applauso.

Nel silenzio della strada assolata poteva sentire, distinte, le gocce di sudore lungo la schiena ed il suo stesso profumo far capolino dalla camicia di buon taglio. Una biondina attraversava la strada ciabattando, correndo sguaiatamente con le braccia distanti dal corpo. Indossava un vestitino leggero a fondo bianco, con fiori, archetipo di un estate che pareva di 30 anni fa.
I suoi amici, all’altro lato del marciapiede, l’aspettavano assonnata per una mattinata di fine agosto da spendere al mare, annoiati ed un po vuoti: una mattinata senza pretese buona sola a scurir la pelle ed a  sentirsi più brutti, confrontandosi perfino con se stessi.

La biondina correva applaudendo le ciabatte sulle zebre d’asfalto oramai sbiadite e dietro i grandi occhiali da sole, lui lo sapeva, cerano occhi felici senza motivo, la voglia di uno scatto fotografico di fretta, ridendo, a sorpresa, sottratto dal caso alla spiaggia, uno scatto da riguardare con gli occhi sbarrati dal bene, qualche anno dopo.

Lungo il viale, ripensandoci, gli pareva di sentire il vento caldo della sera e riusciva perfino a sentire il peso di Loretta, seduta di sbieco la dietro, sulla Vespa.
Una gonna lunga fin sotto il ginocchio, bianca, le fasciava le gambe piegate ad assecondare le linee della Piaggio: Roma vuota ed ancora in ferie incorniciava una serata perfetta come sembrava non ne avrebbero più avute.
I capelli corti ed il sorriso a scolpire quel viso piccolo da circondare di baci.
Cantava Caterina Caselli regalando al vento della corsa in Vespa un concerto improvvisato, un concerto che aveva il sapore delle serate nelle balere estive, del ballo liscio, dell’Emilia Romagna dei Casadei, delle piadine, e che era invece propria di Roma , pizzerie e latterie , mostaccioli e caramelle, supplì e maritozzi, quartieri semplici e pizza bianca con la mortadella: una città che forse pareva lei solo ora, ora che le ferie l’avevano svuotata.

Il motore, cambiando marcia, sobbalzava come i suoi pensieri incapaci di tenere un punto e raggomitolarsi per costruire qualcosa di correlato.
Pensava ora alle  sigarette Nazionali, alle  sigarette sfuse, al  sole sull’asfalto, all’odore d’un pacchetto di sigarette appena aperto, a quell’odore di tabacco e carta che pare così puro e buono da essere irreale. Si rivedeva bambino nel quartiere di Montesacro, domenica pomeriggio d’estate, a comprare un pacchetto di Ms morbide per papà che aspetta là fuori; pensava allo sguardo di striscio del tabaccaio che controllava se sul serio fosse là fuori, a tutte quelle volte che, qualche tempo dopo, lo disse mentendo.

Giallo, rosso, verde: appena il tempo di un semaforo ed aveva già disordinato i suoi pensieri al punto da non trovare più il coraggio di rinunciare ad una ltro giorno lontano dal lavoro.

Fu l’estate, forse proprio quella mattina, che lo aveva portato alle decisione di partire.

Aveva messo in in moto come tutte le altre mattine, come all’inizio di ogni giro.

Solo che di quel giro, ancora oggi, non è tornato a raccontarci.

 

Massimo

 

 

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