Verso Helsinky

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Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto.

Un volo praticamente vuoto, un servizio algido ma efficiente, un paio di puntate su Netflix e così le luci di Helsinki già spuntano sotto la pancia di ferro del piccolo aereo. L’aeroporto è asettico e silenzioso, vuoto di passeggeri ed inservienti, vigilanti. Sono chiusi perfino i negozi: eccola la prima Finlandia che ci accoglie.
È tutto pulito ma vuoto, silenzioso che pare qualcuno dorma, qualcuno che però non puoi vedere visti i corridoi deserti, i soli cartelli a dare indicazioni. Il coronavirus non c’entra: questo è il paese più scarsamente popolato dell’Europa ed uno fra quelli più organizzati e rispettosi. Non c’è bisogno di usare mascherine a meno che non si sia in luoghi affollati che praticamente pare non esistano per definizione visto che anche ai nastri per il ritiro bagagli non si è più di 30.  Continua a leggere….

Prodromi di un viaggio verso nord

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Una settimana di decompressione nella piccola fattoria di famiglia è servita a disconnettermi dal lavoro, a godermi qualche giorno con mia madre, ad essere più consapevole che il tempo non sarà poi così clemente.
Mi sento soddisfatto di me, per le idee che vado inseguendo rispetto al progetto maximo di cambiare lavoro ed in grossa parte vita; certo potrei dimagrire e sentirmi migliore ma per ora mi affido a qualche km in bici per dirmi che si, miglioro, faccio di più, mi do una mossa.
Pedalare nella piccola contrada di Melfi rilassa la mente, prepara il corpo e come in Vespa, andando piano, lascia scoprire angoli ed aspetti che in auto non avevo notato. Su per le salit silenziose mi rassegno positivamente, insisto, rilasso le gambe quando il fresco del mattino mi sorprende nelle breve discese; fra le gole del fiume reso secco dall’estate e da una furia consumistica della zona che dovremmo combattere con più forza, ritrovo i pensieri migliori fra pallacanestro e progetti per il viaggio. Così spingo sui pedali, penso al volo, ad un quintetto da mettere in campo, a prenotare il parcheggio, al fatto che posso farcela, che non ci vuole poi tanto coraggio a cambiare quel che non mi piace né ce ne vuole per la prossima salita. Sto meglio del previsto.

Lettere a mio fratello (Agosto 2017)

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Mio caro Bro, sono a Sydney “intrappolato” in una città che non sento mia e che non mi appassiona. Così come ero fuggito da Melbourne che pure preferisco a questa zona, così domani farò da qui, diretto verso certe montagne che qui chiamano blu e che forse sono sole ed un po sperse come certe volte è bello sentirsi viaggiando. Dormiremo lassù dove passeremo il giorno camminando, allontanandoci. Il giorno dopo andremo verso la costa più a nord: ho letto che da lì è possibile vedere le balene che seppure ho già avvistato a largo di alcuni piccoli paesi sulla great ocean road vorrei rivedere. Sono impressionanti, grandi, ma sembrano fragili e molli mentre nuotano e se ne stanno per i cazzi loro seguendo chissà che corrente e quale logica. Siamo alla fine di un viaggio memorabile ma dal peso specifico inferiore a quello delle scorribande nella nostra cara Asia, in quel sud est asiatico che tanto ci ammala di malinconia e nostalgia e dove so già che vorrò tornare alla prossima occasione sempre che, nel frattempo, non mi nasca un figlio come spero. Adesso ti saluto perché vado a fare l’amore.
Stammi bene.

Ci vedremo presto.

Dala

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Dala, una gioda turistica

Così appena al di là del fiume, Dala ci aspettava silenziosa e scura come una marea notturna.

Grossi e panciuti traghetti ogni 20’ attraversano la Yangoon River per trasbordare circa 1000 persone alla volta fra pendolari e Dio solo sa cos’altro. Una piccola strada fangosa conduce al molo dove s’affollano umani ed animali pronti per salire sul prossimo traghetto. C’è confusione, un piccolo mercato lungo la strada, gente che grida, che vende biglietti di quella che credo essere qualcosa di simile ad una lotteria; c’è polvere e caldo, c’è gente scalza che ci offre del cibo, ci sono gli immancabili rollatori di foglie di betel.

Dei cani malati bivaccano fra la gente in cerca di cibo o qualche lite per sentirsi ancora vivi:  scorticati da malattie della pelle e denutriti fino a barcollare ora ringhiano, ora osservano guardinghi poco dopo aver finito di leccare rimasugli di cibo poco raccomandabile già in partenza.
Consunti stracci avvolgono i risoluti venditori mentre qualche donna cerca di rendere decente il telo che funge da base per la sua bancarella. A fatica possiamo distinguere chi è in fila per l’imbarco, chi invece ha già il suo biglietto, chi sta solo curiosando fra le bancarelle e chi è intento ad aiutare il tipo che deve imbarcare quei polli, vivi, legati con uno spago.

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A Kalaw

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Tè, Kalaw

A circa 2 ore di auto da Nang Shue ed ad una dal più vicino aeroporto di Heho, Kalaw si mostra nella sua verde forma di villaggio montano appena dopo le curve delle buona strada che il lentissimo taxi percorre cambiando spesso corsia per non ben precisati motivi.
Non è ancora del tutto chiaro come funzioni la circolazione stradale visto che la guida dei veicoli è sul lato destro ma che guidando si debba tenere la destra col risultato che non sia definitala corsia di sorpasso.
Posto di villeggiatura per birmani benestanti e stazione di trekking, Kalaw sembra piuttosto calma ed organizzata da subito, ricca di influenze di culture e religioni differenti che riescono a convivere senza troppi sforzi. Più vicina al confine con il Bangladesh offre cucina indiana di livello, facce differenti ed un rapporto ancora più rilassato con la religione buddista nonostante anche qui siano presenti un paio di monasteri e di importanti pagode.
Le numerose piccole agenzie di viaggio offrono molteplici soluzioni di trekking articolate in 1 o più giorni anche da e verso lago Inle (viene organizzato il trasferimento del bagaglio così che camminando si abbia solo lo stretto necessario per circa 18 km al giorno).
Siamo arrivati qui con un taxi organizzato dalla Inle boy, la compagnia che a Nuang Shue vanta 13 barche e giovani barcaioli piuttosto esperti, come abbiamo visto nei giorni al lago. Nell’attesa dei biglietti aerei che da Heho ci porteranno infine a Yangoon il proprietario ci ha spiegato che negli ultimi anni sono state introdotte tasse prima di allora inesistenti  e che che però tutto sommato sono basse, tali da garantire un livello più che decente, a loro dire, di sanità pubblica e sistema scolastico.
Il Myanmar aperto al turismo da quando l’esercito ufficialmente si è tirato indietro dal potere politico ha fatto si che il paese prendesse un impulso di crescita interessante, visibile ad occhio nudo, camminando per strada: ponti e strade in costruzione, sistemi di pagamento digitale in diffusione, trasporto pubblico su gomma molto buono e ben 3 compagnie aeree che operano voli in aeroporti folkloristici e con procedure molto manuali ma che possono raggiungere anche destinazioni più lontane offendo un servizio di assoluto rilievo comprensivo di pasti a bordo.

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