Lasciamo Bagan con un volo per risparmiare tempo, considerato che il trasferimento in autobus per il lago Inle costerebbe circa 10 ore.
Un volo di 60 dollari circa invece, in 40’ risolve il problema e regala finalmente una vista dall’alto della piana di Bagan.
Il piccolo volo della kbz, accuratamente indagata sui internet su siti vari di recensioni, statistiche ecc (prudenza sopratutto in sud est asiatico e durante la stagione dei monsoni!) è un bimotore ad elica ed il servizio è sorprendentemente buono.
Ceck- in con carte di imbarco scritte a mano, registri compilati a penna ed infine bagagli imbarcati uno ad uno dopo che ogni passeggero ha eseguito il proprio check-in.
Un volenteroso addetto fa da portabagagli facendo la spola fra il carrello fuori ed il piccolo banco di accettazione per portare via via ogni valigia: che convenga portare li il carrello?
Volo con assoluta precisione oraria, snack servito a bordo e favoloso stop and go. In sostanza questo volo funziona come un bus ed atterrando attende che scenda chi deve per poi proseguire il volo altrove.
Il minuscolo aeroporto di HeHo sembra uno di quelli militari di certe zone in Vietnam, ma durante la guerra: unica sala con breve controllo immigrazione, sedie per eventuale attesa, consegna bagagli, un cambio denaro e tassisti pronti alla contrattazione.
Quando Marco Polo arrivò qui fu impressionato dal suono delle campanelle e dal fruscio del vento che scuoteva, a suo dire, le vesti dei monaci.
Quel che rimane oggi in questa vasta e magnifica piana è un considerevole numero di templi più o meno conservati nello stato originale.
I terremoti del 1975 e del 2016 hanno messo a dura prova le costruzioni erette in maniera piuttosto approssimativa. Mattoni rossi su un terreno sabbioso, pochissime tracce di malta, strutture a pianta non larghissima ed abbastanza alte, vittime facili dei forti terremoti dell’area.
Verso Bagan, stavolta con un Van di “ok bus“, una compagnia di seconda linea rispetto all’altra, JJ Express, in tutto e per tutto.
Questo qui come trasporto fa molto sud-est asiatico: il bus va ma è piccolo, ha l’aria condizionata freddissima se vuoi ma non si dove cazzo mettere gli zaini e sei seduto dove non hai spazio nemmeno per starci in piedi. Gli asiatici hanno le gambe corte.
Ci sediamo dietro come quelli che alle gite scolastiche fanno casino, sdraiamo gli zaini sul corridoio bloccando di fatto gli altri li al loro posto. Dietro a noi c’è seduta una famigliola italiana, un uomo ed i suoi due figli; lei diabetica, e lo capisco dal cerotto che monitora la glicemia. Il padre è un vecchio viaggiatore che ora sonnecchia, figlio degli anni ’60, ci racconta del Magic Bus e pare sia io l’unico ad averne già sentito parlare. Gli altri dormono tutti nonostante gli schiamazzi del grassone, altro italiano, finito seduto vicino a me.
Mandalay è già diversa da Yangoon non tanto per il clima quanto perché urbanizzata in maniera totalmente differente.
Qui ci sono i classici motorini asiatici ma il traffico non è ossessivo e tutto sommato visto la viabilità molto geometrica si potrebbe anche andare in bici: le distanze però non sono così banali ed il è caldo piuttosto pressante per cui è comunque meglio contrattare un taxi od un magico tuk tuk per l’equivalente di pochissimi euro.
Pahtodawgyi
Davanti alle nostre finestre c’è lo scheletro di un palazzo in costruzione ed un anziano che di primo mattino legge sempre il giornale seduto su una sedia, al secondo piano dello scheletro, come se nulla fosse, come se fosse in camera sua; peccato manchino porte, finestre, pavimenti e muri. Ma lui se ne frega e legge imperterrito. L’ho notato appena arrivato, l’ho visto oggi. E’ il guardiano, ma di cosa, del materiale che sta li da tempo abbandonato visto che il palazzo non è attivamente in costruzione? Ad una certa ora veste una camicia beige, prima è seminudo.
Dalla reception del nostro albergo prenotiamo una trasferimento notturno in bus, verso Mandalay. 10 ore di viaggio con il famoso JJ express bus il cui altisonante slogan è the way, the truth, the life.
La stazione dei bus è a circa 20km dal nostro hotel e con un taxi si raggiunge in circa 45’. È lì che Yangon si mostra nel suo insieme, via via, nelle sue diversità e parti del tutto differenti dalla downtown. Zone più ricche e residenziali, occidentalizzate da centri commerciali, urbanizzazione moderna: quel che manca all’altro capo della città. Una metropoli non ossessiva e tutto sommato calma, km quadrati di abitati e quartieri, etnie mescolate fra loro: Asia, fra religione e contrasti.
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