Prodromi di un viaggio verso nord
Ago 21
Viaggio, Viaggio in Finandia Finalmdia, massimo soldini, melfi, mountain bike, prodromi, roccasecca No Comments
"Tutto ciò che avete da fare è tenervi il vento alle spalle" J. Conrad
Ago 21
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Lug 04
Intolleranza ed eventi di straordinaria incompetenza bayern, covid-19, europa unita, focolaio covid, glifosato, immigrazione, massimo soldini, monsanto, stereotipi, tonnies, wirecard No Comments
L’Europa è sempre più unita e le differenze fra stati sempre meno.
Giu 04
Loretta amore, delirio, loretta, massimo soldini, non voglio vederti, paradosso, teorie No Comments
Io non vorrei incontrati né parlarti mai più.
Quando non ci sono tu sei un’immagine, quell’immagine: la foto di un istante, di una espressione, tu sei esattamente come ti vedo quando io ti penso avendo colto quelle espressioni, quei piccoli particolari che noto solo io.
Quando non ci sono sei al riparo dalle mie parole, dalle reazioni che provocano, dall’idea che ti spunta sul viso quando diciamo certe parole che pronunciate diventano preziose per via di quella che pare essere la loro forma, a volte rotonda, a volte più spigolosa ma comunque una forma da osservare.
Io non voglio vederti né parlarti perché tu sei una parola che va detta da sola e tutto d’un fiato, non in un discorso, altrimenti non è più se stessa e diventa corrotta dagli altri suoni. Continua a leggere….
Giu 03
Racconti dimenticare, india, infinito, massimo soldini, vento No Comments
Vorrei imparare dal vento, vorrei imparare a spazzare, scacciare, andare lontano, passare sopra le cose, ad esserci sempre, ad infuriare e solo quando serve, a saperci fare col mare e con le montagne, a cambiare, ad avere stagioni, a saper tornare in India ogni anno, almeno un paio di volte.
L’unica cosa che non ho capito è se davvero il vento porti con se qualcosa, anche granelli, come fossero memoria, oppure se sia capace davvero di pulire tutto, di sgomberare. Che bella parola, “sgomberare“.
Allora se così fosse, se portasse comunque via quei frammenti di memoria, quei granelli confusi ma numerosi, allora no, non vorrei essere come il vento perché mi interessa dimenticare certe cose, non rinnegarle, proprio dimenticarle, anche se dimenticare non è la condizione più ambita ma, semplificando, è una condizione che aprirebbe le porte a riscoprire.
Ma se riscoprissi significherebbe che ho si dimenticato ma nuovamente patito le cose negative. Si, avrei anche lo stupore di quelle cose belle, dell’amore, ma soffrirei per tutto quello che ogni giorno con violento schifo vorrei non esistesse, compresa certa gente.
Mi incastro a pensare, in un senso e nell’opposto.
Ho già imparato dal vento: faccio mulinelli.
P.s. Non c’è una foto, ho dimenticato di inserirla, sono a buon punto
Mag 26
Basket: storie ed appunti di pallacanestro basket, coach, coaching, grido pallacanestro, massimo soldini, pallacanestro No Comments
Gli allenamenti sono un attesa.
Tecnicamente sono essenziali ma emotivamente sono un’attesa.
Quel che conta è la gara, la partita, la battaglia, il rumore che fa lo scontro.
Quello che mi manca non è il discorso pre partita che pure mi emoziona a certe volte fa lacrimare alle mie stesse parole.
Quello che mi manca è la paura, il subbuglio interiore che monta, l’irreparabile sensazione che tutto si avvicina: quando usciamo dal piccolo tunnel è come emergere da un’apnea, un esplodere di quei rumori che chiusi dentro il nostro spogliatoio sentivamo attutiti.
Quel che mi manca è quella sensazione ingestibile di paura che mi fa muovere veloce, che mi fa bere fingendomi tranquillo mentre seguo i miei riti arrivando in panchina, facendo il gesto del buon cristiano, bussando 3 volte sul legno della mia lavagnetta per svegliare gli dei della pallacanestro.
Quelli sono i momenti che mi mancano: quando arriva il momento di rifare l’urlo che dentro lo spogliatoi era lo stesso ma meno intenso.
In quel momento dentro si sente di tutto, compreso il cuore che sballa qualche rintocco: dentro lo spogliatoio le parole ci hanno infuocati, le strategie rassicurati, ma il rumore arrivati in campo ci ha spaventati; lo fa da sempre, lo farà per sempre: che lo si ammetta oppure meno.
Mi manca quel momento in cui tutti hanno paura ma nessuno sa più niente dell’altro: ognuno pensa d’essere il solo e cerca lo sguardo degli altri.
Allora c’è un attimo in cui dico semplicemente “quà!”, e tutti completano il cerchio di cui io sono il primo punto della circonferenza.
Ognuno mette la sua mano al centro, io tengo la mia sotto a tutte, perché li reggo, perché li sostengo, perché posso farmi schiacciare ma li terrò a galla, quello è il senso della mia mano sotto tutte le loro.
Allora gridiamo, il nostro grido: quello è il momento in cui la paura vola via, in cui ognuno si sente sicuro, rassicurato, protetto, in cui ognuno di noi è sollevato perché è convinto che fosse il solo ad avere paura e che ora, tutti insieme, invece, non ne avremo più.
Adesso, solo adesso siamo pronti e soprattutto senza paura: appena dopo quell’attimo, quel grido liberatorio in cui l’ansia, la paura ed il subbuglio lasciano il posto alla voglia dello scontro, per duro che sia, per il finale che abbia.
Poi resta poco da fare: l’arbitro lancia la palla e mentre è in volo, in pratica, è già tutto finito. Il resto sono appena 40 minuti, solo una battaglia: ne usciremo vincitori oppure vinti ma non avremo più avuto paura, ci abbracceremo sempre e comunque.
Ho notato che chi, come me un tempo, gioca sotto canestro, cerca subito un contatto abbastanza duro, uno scontro personale così da svegliarsi, da misurarsi, da ricordarsi di tenere duri gli addominali là sotto il tabellone. C’è poi chi gioca di fino, d’astuzia e va via veloce per per irretire gli avversari.
Quanto siamo belli e stupidi in quei momenti per noi così epici, nel rumore della nostra battaglia.
Io ricordo pubblico in centinaia, il boato delle trombette e le bandiere, ricordo pure battaglie con pubblico in numero deprimente e silenzio di poco interesse. Ho conosciuto la vittoria definitiva, del campionato, sconfitte rumorose, campionati altissimi, altri di sopravvivenza sportiva.
Ricordo tutto. Non ricordo però nessun ingresso in campo senza quella maledetta paura, senza il senso rassicurante di quel grido liberatorio, di quell’illusione di ognuno d’essere il solo ad aver paura, di quella sciocca ma profonda sicurezza immediatamente dopo.
Gli allenamenti sono solo un’attesa, proprio come questi giorni lontano dal campo.